Dopo un periodo che mi è parso quasi infinito ho finalmente pubblicato il mio terzo
libro, intitolato "Principi azzurri a luci rosse". Ecco il prologo del romanzo in questione, buona
lettura!
PROLOGO
Le sale della
Whore-Haus sono piuttosto sofisticate per quello che per molti è considerato
solo come un bordello. Abbiamo
soffici divani in velluto verde cachi, tavolini in mogano e altri in plexiglass
colorato. A ogni finestra è posta una tenda in seta color avorio e nella grande
sala ricevimenti è presente perfino un bancone da bar per intrattenere i
clienti con qualche chiacchiera tra un cocktail e un altro. Vi lavora Marcus,
un barman che per la maggior parte del suo tempo lavora in perizoma rosso
luccicante, papillon nero e polsini bianchi immacolati, nient’altro. È un
piacere alla vista e i clienti apprezzano il suo savoir faire.
Quel pomeriggio me
ne stavo seduto su uno dei divanetti della sala spettacoli, dove eravamo soliti
intrattenere i clienti con balli o hard show. Ero totalmente spensierato perché
non avevo altri impegni in agenda. Me ne stavo appoggiato con la testa sul
gomito sopra il bracciolo del divano, intento a fissare il mio intervistatore
in attesa che sistemasse l’attrezzatura necessaria.
Mise la videocamera
su un treppiedi e la puntò verso di me accendendola. Gli feci promettere di
oscurare il mio volto quando il nostro tête-à-tête
sarebbe stato montato in studio. Accettò e lasciò la videocamera puntata su
di me riprendendomi a mezzo busto, di modo che anche senza vedere il volto il
fisico facesse la sua parte. Indossavo una camicia chiara aperta sul davanti,
che metteva in mostra il petto glabro e una collanina d’argento con una piccola
croce anch’essa in argento, regalo del mio boss.
Sistemò il microfono sull’orlo della mia camicia, poi si mise seduto di fronte
a me facendo attenzione a non coprire la videocamera.
«Da dove vuoi che
cominci?» chiesi.
«Da dove preferisci.
Voglio sapere tutto.»
«Beh, non ti dirò
proprio tutto a essere sincero.» dissi con un sorrisino.
«Dai, non mi dirai
che devo farti le domande a bruciapelo!» Feci spallucce. «L’hai voluta tu!»
disse alzandosi. Ritolse la videocamera dal cavalletto e tenendola in mano
zoomò su di me, muovendosi al contempo all’indietro. Pensai volesse emulare la
tecnica di ripresa di Hitchcock, il cosiddetto effetto Vertigo, e gli chiesi se per caso stesse girando un thriller
anziché farmi un’intervista. «A cosa non rinunceresti mai per amore?» mi
interrogò mentre filmava. Cercavo di allontanarlo col piede ogni volta che si
avvicinava troppo al mio viso, ma non desisteva.
«Cominciamo già con
le domande impegnative!» esclamai. «Beh, alla mia libertà.» risposi sicuro.
«E cosa vorresti
per il tuo futuro?»
Ci pensai su. «Sai
che non lo so? Non me ne preoccupo adesso, vivo giorno per giorno.» Feci
spallucce. «Programmare non è da me.»
Staccò un attimo lo
sguardo dalla telecamera per fissarmi direttamente in faccia, poi tornò dietro
l’obiettivo. «Hai ragione, forse ti sto facendo domande troppo impegnative.
Vediamo... qual è il cibo preferito di un escort?»
«Abbiamo gli stessi
gusti di voi comuni mortali.» risposi divertito. Sapevo che cercava solo di
rendermi più semplice l’espormi, ma il modo in cui stava conducendo l’intervista
era piuttosto ridicolo, anche se a dire la verità il risultato finale non mi
importava molto.
«In realtà non ho
un cibo preferito.» risposi per accontentarlo. «Come ti ho detto non programmo
nulla, nemmeno cosa metto in bocca.» dissi allusivo.
«Evviva i doppi
sensi!»
«Cosa vuoi che ti
dica? Mi piace provare cose nuove.» Era allettante provocarlo.
«D’accordo,
lasciamo perdere le domande inutili. Dimmi allora che rapporto hai con i tuoi
genitori. Sanno quello che fai?»
Feci una smorfia.
«Forse è meglio tornare alle domande inutili.»
«Tasto dolente?» Mi
strinsi nelle spalle e dopo un po’ assentii col capo. «Ma come faccio a
intervistarti se non mi dici nulla?»
Ecco fatto, ero
riuscito nel mio intento: farlo impazzire. Estorcermi delle confessioni non
sarebbe stato facile per lui.
«Sei stato tu a
insistere per intervistarmi, io non avevo intenzione di rilasciare
dichiarazioni.» La cosa mi divertiva e lui l’aveva capito, ma doveva lavorare e
io ormai ero meno teso. Per cui smisi di cazzeggiare e cominciai a fare la
persona seria.
«Almeno saprai
dirmi qual è il tuo film preferito, se hai mai viaggiato o magari i lavori che
hai fatto prima di questo? Insomma, come sei arrivato a diventare quello che
sei adesso?»
Guardai dritto
verso di lui e mi decisi a concedergli la mia storia. Il mio sguardo per un
attimo si fece malinconico, cercai di smorzare l’emozione e di non lasciar
trasparire i miei pensieri. Mi era successo troppe volte di cercare una
risposta a quella domanda e ancora non riuscivo a trovarla.
Non sapevo se fosse
stata una scelta o una vocazione. Eppure mi trovavo lì, in quel luogo, e dalla
vita non potevo dire di aver ottenuto sempre il peggio. In un certo senso ero
stato fortunato ad avere quella chance, ad altri di solito non va altrettanto
bene.
Mi feci coraggio e
gli rivelai ciò che era giusto sapesse. D’altronde lo faceva per una buona
causa, l’informazione. E si sa, di buona informazione di questi tempi ce n’è
così poca!
«Di lavori ne ho
fatti alcuni, ma in realtà è stato questo a segnarmi per tutta la vita. Avrei
potuto, dovuto e voluto essere un altro, ma questo è ciò che sono, che sono
sempre stato e forse sempre sarò.»
© Fab Draka 2012