lunedì 24 novembre 2014

TACCHETTO 12 - CAPITOLO 1: FABRIZIO

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TACCHETTO 12 - CAPITOLO 1:
FABRIZIO



Dacché l'aveva conosciuto Fabrizio era certo che l'avrebbe amato per tutta la vita. Era stato un colpo di fulmine e sentiva che le loro strade non si sarebbero mai separate. Chiunque avrebbe potuto dirgli di lasciar perdere, di abbandonare facili illusioni, perché quel tipo di attaccamento non lo avrebbe portato da nessuna parte. Ma lui si era lasciato cullare dai sogni di gloria e non si era arreso. Aveva continuato ad amarlo con la stessa intensità che aveva provato da bambino, quando si erano conosciuti.
Il calcio era tutta la sua vita.
Le prime partite - quando era ancora troppo piccolo per capire bene il gioco - le aveva guardate col papà alla tv e una in particolare gli era rimasta impressa nella memoria, non tanto per la partita in sé, ma per i sentimenti che aveva scatenato nel genitore. Era la finale dei mondiali dell'82, quando lo aveva visto piangere. Era ancora in tenera età a quei tempi, ma era stato un evento così raro vederlo in lacrime che non l'aveva più dimenticato. E aveva capito che per reagire in quel modo doveva esserci qualcosa di straordinario in quel gioco. Qualcosa di speciale che lui ancora non riusciva a capire, ma che si sarebbe impegnato a scoprire.
Inizialmente aveva studiato suo padre. Ogni volta che giocava l'Inter e decideva di guardarla in tv sembrava si preparasse per un rituale. Prendeva una bottiglia di birra ghiacciata e la posizionava sul tavolino davanti alla vecchia venti pollici, prendeva dall'armadio la sciarpa nerazzurra e se l'avvolgeva al collo - anche se a casa faceva caldo - e chiedeva silenzio assoluto per tutta la durata dell'evento. Fabrizio l'avrebbe osservato senza fiatare, ma ne avrebbe imitato ogni singolo gesto mentre lui, ignaro, fissava lo schermo con gli occhi sbarrati.
Lo emulava esultando quando lo faceva lui, fingendo di portarsi un'immaginaria birra alle labbra e poi arrabbiandosi come lui quando veniva fatto un fallo o l'arbitro fischiava un fuorigioco che non c'era. Sua madre faceva capolino dalla porta e li spiava divertita.
Quando poi l'Inter vinceva allora il padre usciva da quella trance momentanea e lo abbracciava forte per la contentezza riempiendolo di baci. Cominciò così ad associare quell'esplosione di gioia a quello sport.
C'era stata poi quella volta che l'aveva portato allo stadio. Quello sì che era stato un giorno memorabile! Aveva sei anni ed erano andati a tifare la loro squadra in Coppa Italia. Sugli spalti tra lo stuolo di tifosi che si agitavano, scalmanavano e imprecavano (il padre aveva sempre evitato di farlo davanti a lui) Fabrizio si era trovato catapultato in un mondo di passione e tormento. E finalmente aveva realizzato cosa avesse provato il padre in quei fatidici mondiali.
Da allora avevano cominciato ad andare allo stadio più spesso sotto sua richiesta, anche se a giocare non era la loro squadra. Ciò che Fabrizio voleva rivivere era quell'emozione. Il compartecipare a uno sfogo collettivo di gioia e dolore.
Poi un giorno l'incanto venne spezzato.
Suo padre se ne andò, lasciandogli un vuoto incolmabile che avrebbe cercato di riempire con i gol guardati alla tv, ma che alla fine non lo avrebbero mai saziato a sufficienza.
Suo zio Nunzio aveva provato a portarlo allo stadio, ma non era più stata la stessa cosa. Non per questo però il suo amore per il calcio scemò, anzi, si ingigantì. E a ogni partita dell'Inter ripeteva i rituali del padre, sostituendo la birra con la coca-cola. Un modo per commemorarlo, perché era stato lui a trasmettergli la passione per quel gioco.
Talvolta la madre lo osservava stando sul ciglio della porta - attenta a non farsi notare - e con straziante malinconia rivedeva in lui una parte di suo marito. Un bambino di otto anni che ricalcava le orme del padre con i gesti che un tempo gli erano appartenuti.
Da allora Fabrizio era cresciuto per strada e lì si era fatto le ossa. Aveva capito che per colmare quella mancanza avrebbe dovuto darsi da fare in prima persona. Grazie alla pratica costante imparò in fretta e diventò scattante come un fulmine. Non gli importava far altro. "Il team" pensava, "Bisogna fare di tutto per il team." Era un pensiero che lo assillava da mattina a sera.
La madre lo rimproverava sempre dicendo che avrebbe dovuto darsi di più da fare a scuola, ma la strada gli aveva insegnato la lezione più grande: non arrendersi mai.
Crescendo era entrato nel Campionato Allievi Regionali, un risultato eccezionale per un ragazzo che era solo agli inizi della propria carriera.
Aveva anche cambiato squadra del cuore. Non gli sembrava corretto tifare per l'Inter quando da sempre aveva vissuto a Catania. Per questo motivo non appena i rossazzurri erano entrati in serie B aveva deciso di seguirne il corso degli eventi, fino a vederli arrivare in serie A, quel giorno in cui anche lui - proprio come aveva fatto il padre a suo tempo - si era messo a piangere per la sua squadra.
Il papà non avrebbe criticato la sua scelta. Era certo che se fosse stato ancora vivo sarebbe riuscito a convincerlo che tifare per la squadra della propria città era dovere di ogni catanese che si rispetti. Ed era convinto che avrebbe appoggiato il suo sogno, quello per cui stava lottando con le unghie e con i denti.
Ora che si trovava negli spogliatoi a cambiarsi dopo l'ultimo allenamento si sentiva quasi un re. Non avrebbe mai immaginato di riuscire ad arrivare a un passo dalla serie B. Per anni aveva giocato in C, ma il suo era un talento che non andava buttato e il suo mister lo aveva capito subito. Per questo il procuratore sportivo stava spingendo per farlo entrare in serie B quando aveva ancora l'età per poter giocare. Quelle erano gambe fatte per correre, per dare potenti calci e mandare la palla dritta in rete. Sì, Fabrizio era potente e lo sapeva. Ma ciò che non sapeva era quanto infide potessero essere le persone. Quanta invidia si celasse dietro i falsi sorrisi dei suoi compagni di squadra.
Non aveva mai avuto l'animo del ragazzo socievole, pur possedendo un grande spirito di squadra. Al di fuori del gioco era un tipo schivo, che amava stare per i fatti suoi e a cui non piaceva quando la gente si intrometteva nei suoi affari. Ma non per questo non aveva amici, li aveva eccome, pochi ma buoni. Spesso si ritrovavano la sera a girare per locali, a bere fiumi di birra e canzonare tutti coloro che a loro parere meritassero derisione.
Sua madre non approvava il suo stile di vita, lo riteneva dissoluto, un buono a nulla nonostante lavorasse da anni presso l'officina dello zio Nunzio. Aveva lasciato la scuola per lavorare con lui, così non aveva preso il diploma, a gran malincuore della madre che da allora aveva deciso di lavarsene le mani del suo futuro.
Zio Nunzio era il fratello minore di suo padre, anche lui gli era stato molto affezionato. Per questo motivo quando era morto, aveva deciso di prendere sotto la propria ala il nipote, che ormai considerava quasi come un figlio. Lui di figli suoi non ne aveva avuti. Non si era mai nemmeno sposato e questo non perché non avesse trovato la donna giusta, ma perché non voleva sentirsi in trappola. Dopo il matrimonio dei genitori di Fabrizio si era reso conto che il matrimonio era una gabbia e che lui era uno spirito libero e non avrebbe mai accettato di farsi comandare a bacchetta.
Fabrizio aveva cominciato a pensarla come lui, non si sarebbe sposato. No, preferiva di gran lunga passare da una relazione all'altra senza mai impegnarsi veramente. Aveva avuto decine di ragazze, ma nessuna aveva mai fatto veramente al caso suo. Così le sue relazioni si basavano su incontri fugaci nei locali, qualche parola scambiata all'orecchio, fiumi d'alcol e alla fine sesso nei bagni o a casa della ragazza di turno. Solo una volta si era fidanzato seriamente, non era durata più di tre mesi, ma era stata la relazione più lunga avuta fino ad allora. Si chiamava Melania e gli era piaciuta davvero. L'unica che avesse provato a guardare oltre l'apparenza.
Era indubbiamente un ragazzo che non passava inosservato. Atletico, con muscoli possenti - merito di anni di palestra -, sempre vestito all'ultima moda, ma non per questo necessariamente secondo i canoni del buon gusto.
Melania era riuscita a vedere altro in lui, forse del potenziale. Era stata lei a incoraggiarlo inizialmente a intraprendere la carriera calcistica, ma non sapeva se fosse o meno perché lo riteneva capace o solo perché sposare un calciatore era il sogno di molte ragazzine.
Lui però non voleva sposarsi, d'altronde a quei tempi aveva ancora solo diciassette anni e il matrimonio non era tra le sue priorità. Il gioco alla fine aveva vinto su tutto, anche su di lei, per questo riteneva di non poter amare altro. Il calcio era per lui così importante da lasciare in secondo piano ogni cosa.
Vi si era dedicato anima e corpo negli anni seguenti, raggiungendo altissimi livelli professionali, ma uno sventurato giorno la sua vita cambiò per sempre.
Un suo amico, uno non molto stretto ma con cui spesso intratteneva delle lunghe conversazioni al bar, gli aveva confidato di trovarsi in gravi ristrettezze economiche. Aveva perso il lavoro in seguito alla grave crisi economica e ora si trovava disoccupato e con tre figli sulle spalle.
«Mi pignoreranno casa» gli aveva detto abbattuto. «Come farà la mia famiglia?» Poi era scoppiato in lacrime.
Fabrizio si era sentito in soggezione. L'avrebbe aiutato volentieri se avesse avuto a disposizione il denaro, ma purtroppo da qualche tempo le cose da zio Nunzio non andavano per il meglio e lui tra serate in discoteca e alcol a go go era rimasto al verde.
Ci aveva pensato molto prima di prendere quella decisione, ma alla fine si era convinto. Non avrebbe lasciato un amico nei guai mentre c'era gente che sguazzava nell'oro.
Non era un novizio in certe cose - la strada gli aveva insegnato più di quanto avrebbe mai ammesso -, adesso però si era spinto oltre. Aveva organizzato un colpaccio. Quel fine settimana avrebbero svaligiato la casa di un magnate della finanza catanese. Fabrizio lo aveva conosciuto qualche tempo prima, quando gli aveva riparato l'auto, l'uomo se l'era fatta consegnare personalmente a casa. E Fabrizio ricordava tutto il lusso di cui si circondava quell'uomo, lusso di cui in parte avrebbe anche potuto fare a meno.
L'aveva poi incontrato il giorno prima in banca e gli aveva sentito riferire a un collega che sarebbe partito per il fine settimana con la famiglia. Lì era scattata la molla. E i suoi pensieri avevano cominciato a correre così velocemente che non si era nemmeno reso conto che quello che aveva in mente era un piano criminale e che lui non aveva bisogno di queste cose per campare.
Lui no, però il suo amico sì. Così si disse che l'avrebbe aiutato e il giorno seguente aveva confidato all'amico in questione il suo piano. Quest'ultimo non era sembrato particolarmente scosso dalla proposta e aveva accettato.
La casa in questione si trovava fuori dal centro, in un posto facilmente raggiungibile in moto. Usarono il cinquantino di Fabrizio - l'amico aveva insistito a riguardo, preferendo un mezzo che in caso di guai si sarebbe mosso più velocemente nel traffico rispetto a un'auto. A Fabrizio era sembrata una buona idea.
Così, quando tutto fu pronto, si prepararono per l'impresa. Agirono a notte fonda, in modo da muoversi con più facilità. Ma i loro piani non andarono come previsto.
Mentre stavano frugando tra cassetti e armadi qualcuno doveva aver visto la luce delle loro torce dentro la casa, perché improvvisamente sentirono da lontano le sirene della polizia. Raccattarono quanto più velocemente quel poco che erano riusciti a prendere e si dileguarono fuori dalla finestra. Corsero a più non posso e l'amico staccò da Fabrizio di almeno dieci metri mentre raggiungevano la moto. Proprio in quel momento però un poliziotto sbucò da una delle siepi del giardino e si lanciò su Fabrizio che cadde a terra con lui. L'amico si voltò un secondo, uno solo, prima di riprendere a scappare col bottino ancora in mano.
«Infame!» gli aveva urlato Fabrizio mentre il poliziotto gli spingeva la faccia a terra e lo ammanettava.
Aveva passato la nottata in cella, ma avendo deciso di consegnare la refurtiva e non avendo altri precedenti penali fu rilasciato dopo due giorni. Il suo "amico" l'aveva fatta franca, ma ci avrebbe pensato lui a fargliela pagare.
Tutto ciò che desiderava una volta uscito da lì era infilargli un coltello nella pancia, ma non appena si trovò davanti la macchina di zio Nunzio che stava ad aspettarlo fuori dal commissariato, ogni altro pensiero scivolò via.
Lo accompagnò a casa senza dire una parola, non che fosse necessario, nel suo sguardo aveva già letto chiaramente tutta la sua delusione.
Avrebbe voluto spiegargli tutto, dargli la sua versione dei fatti, fargli capire le cose dal suo punto di vista, ma sarebbe stato inutile. Non c'erano scusanti per il suo comportamento.
Arrivato a casa trovò sua madre seduta al tavolo. Aveva le mani poggiate su di esso e stava piangendo. Zio Nunzio si era avvicinato a lei e le aveva posato le mani sulle spalle per farle coraggio. Quando vide entrare il figlio non osò rivolgergli la parola. Lo sguardo di Fabrizio si posò prima su di lei, poi sullo zio che lo guardava costernato. Fabrizio abbassò il capo, sentendosi per la prima volta veramente colpevole dacché aveva architettato quel piano assurdo.
Cercò di dire qualcosa, ma lo zio lo fermò subito con un gesto della mano.
«Vattene in camera» gli disse. «Io e tua madre dobbiamo parlare.»
Fabrizio obbedì e poco dopo lo zio lo raggiunse. Non riusciva a spiegarsi come un bravo ragazzo come lui si fosse invischiato in certe cose. Nemmeno Fabrizio lo sapeva più. Lo aveva fatto per un bene superiore, quello di aiutare un amico in difficoltà, che però gli aveva voltato le spalle quando era stato lui a chiedere aiuto.
Sua madre - che avrebbe voluto mandarlo via di casa - decise sotto pressione dello zio di tenerlo con sé, ma non volle più guardarlo in faccia da quel momento. Pur sapendo che forse era arrivato il momento di diventare indipendente dalla propria famiglia, il ragazzo rimase.
Un paio di giorni dopo arrivò la comunicazione che distrusse ogni sua speranza.
Si era recato come al solito agli allenamenti settimanali, ma quel giorno il mister lo aveva convocato in privato per parlargli. Era venuto a conoscenza del crimine commesso e aveva deciso di radiarlo dalla squadra.
Il ragazzo impallidì e si sentì crollare il mondo addosso. Cercò delle giustificazioni, aggrappandosi a qualunque cosa potesse far cambiare idea al proprio allenatore, ma fu inutile, perché anche il procuratore era dello stesso parere. E in quel momento stesso Fabrizio realizzò di essersi giocato il futuro.
Sarebbe stata una punizione esemplare se Fabrizio non l'avesse presa invece come una grave offesa personale macchiandosi anche di aggressione.
A quel punto aveva gettato alle ortiche il proprio talento. Anche perché vista la sua età difficilmente sarebbe stato acquistato da un'altra società.
Provò vergogna per se stesso e si chiese se suo padre lo stesse osservando dall'alto. Sarebbe stato deluso anche lui.
E la cosa peggiore era che aveva perso tutto per quello che in un primo momento gli era sembrato un gesto di puro altruismo, ma che ora capiva essere una grande idiozia. Fra l'altro il cosiddetto "amico" era anche sparito senza lasciare traccia di sé.
Passò mesi a vivere come uno zombie, rassegnato all'idea di aver perso la sua occasione d'oro. All'officina era mentalmente assente e svolgeva il suo lavoro come un automa, a casa era poco più di un fantasma. Trascorreva interi pomeriggi al computer, collegato su Facebook, come un essere ormai privo di stimoli. Poi notò una notizia che lo colpì.
"Cercasi calciatori per squadra amatoriale. Requisiti richiesti: serietà, passione, dedizione."

Dentro di lui tornò quella carica che un tempo lo aveva portato a raggiungere importanti obiettivi. Si disse che poteva essere un nuovo inizio, così rispose all'annuncio. Quello a cui non aveva prestato attenzione era però la fonte da cui proveniva la notizia: il circolo arcigay della zona.


TACCHETTO 12


Da oggi inizia una nuova avventura. Ogni settimana pubblicherò un capitolo del mio ultimo progetto:




Un romanzo d'appendice che racconterà la storia di una squadra di calcio gay. E ora il primo capitolo... ;)