lunedì 24 settembre 2012

Prologo del nuovo libro "Principi azzurri a luci rosse"

Dopo un periodo che mi è parso quasi infinito ho finalmente pubblicato il mio terzo libro, intitolato "Principi azzurri a luci rosse". Ecco il prologo del romanzo in questione, buona lettura!



PROLOGO



Le sale della Whore-Haus sono piuttosto sofisticate per quello che per molti è considerato solo come un bordello. Abbiamo soffici divani in velluto verde cachi, tavolini in mogano e altri in plexiglass colorato. A ogni finestra è posta una tenda in seta color avorio e nella grande sala ricevimenti è presente perfino un bancone da bar per intrattenere i clienti con qualche chiacchiera tra un cocktail e un altro. Vi lavora Marcus, un barman che per la maggior parte del suo tempo lavora in perizoma rosso luccicante, papillon nero e polsini bianchi immacolati, nient’altro. È un piacere alla vista e i clienti apprezzano il suo savoir faire.
Quel pomeriggio me ne stavo seduto su uno dei divanetti della sala spettacoli, dove eravamo soliti intrattenere i clienti con balli o hard show. Ero totalmente spensierato perché non avevo altri impegni in agenda. Me ne stavo appoggiato con la testa sul gomito sopra il bracciolo del divano, intento a fissare il mio intervistatore in attesa che sistemasse l’attrezzatura necessaria.
Mise la videocamera su un treppiedi e la puntò verso di me accendendola. Gli feci promettere di oscurare il mio volto quando il nostro tête-à-tête sarebbe stato montato in studio. Accettò e lasciò la videocamera puntata su di me riprendendomi a mezzo busto, di modo che anche senza vedere il volto il fisico facesse la sua parte. Indossavo una camicia chiara aperta sul davanti, che metteva in mostra il petto glabro e una collanina d’argento con una piccola croce anch’essa in argento, regalo del mio boss. Sistemò il microfono sull’orlo della mia camicia, poi si mise seduto di fronte a me facendo attenzione a non coprire la videocamera.
«Da dove vuoi che cominci?» chiesi.
«Da dove preferisci. Voglio sapere tutto.»
«Beh, non ti dirò proprio tutto a essere sincero.» dissi con un sorrisino.
«Dai, non mi dirai che devo farti le domande a bruciapelo!» Feci spallucce. «L’hai voluta tu!» disse alzandosi. Ritolse la videocamera dal cavalletto e tenendola in mano zoomò su di me, muovendosi al contempo all’indietro. Pensai volesse emulare la tecnica di ripresa di Hitchcock, il cosiddetto effetto Vertigo, e gli chiesi se per caso stesse girando un thriller anziché farmi un’intervista. «A cosa non rinunceresti mai per amore?» mi interrogò mentre filmava. Cercavo di allontanarlo col piede ogni volta che si avvicinava troppo al mio viso, ma non desisteva.
«Cominciamo già con le domande impegnative!» esclamai. «Beh, alla mia libertà.» risposi sicuro.
«E cosa vorresti per il tuo futuro?»
Ci pensai su. «Sai che non lo so? Non me ne preoccupo adesso, vivo giorno per giorno.» Feci spallucce. «Programmare non è da me.»
Staccò un attimo lo sguardo dalla telecamera per fissarmi direttamente in faccia, poi tornò dietro l’obiettivo. «Hai ragione, forse ti sto facendo domande troppo impegnative. Vediamo... qual è il cibo preferito di un escort?»
«Abbiamo gli stessi gusti di voi comuni mortali.» risposi divertito. Sapevo che cercava solo di rendermi più semplice l’espormi, ma il modo in cui stava conducendo l’intervista era piuttosto ridicolo, anche se a dire la verità il risultato finale non mi importava molto.
«In realtà non ho un cibo preferito.» risposi per accontentarlo. «Come ti ho detto non programmo nulla, nemmeno cosa metto in bocca.» dissi allusivo.
«Evviva i doppi sensi!»
«Cosa vuoi che ti dica? Mi piace provare cose nuove.» Era allettante provocarlo.
«D’accordo, lasciamo perdere le domande inutili. Dimmi allora che rapporto hai con i tuoi genitori. Sanno quello che fai?»
Feci una smorfia. «Forse è meglio tornare alle domande inutili.»
«Tasto dolente?» Mi strinsi nelle spalle e dopo un po’ assentii col capo. «Ma come faccio a intervistarti se non mi dici nulla?»
Ecco fatto, ero riuscito nel mio intento: farlo impazzire. Estorcermi delle confessioni non sarebbe stato facile per lui.
«Sei stato tu a insistere per intervistarmi, io non avevo intenzione di rilasciare dichiarazioni.» La cosa mi divertiva e lui l’aveva capito, ma doveva lavorare e io ormai ero meno teso. Per cui smisi di cazzeggiare e cominciai a fare la persona seria.
«Almeno saprai dirmi qual è il tuo film preferito, se hai mai viaggiato o magari i lavori che hai fatto prima di questo? Insomma, come sei arrivato a diventare quello che sei adesso?»
Guardai dritto verso di lui e mi decisi a concedergli la mia storia. Il mio sguardo per un attimo si fece malinconico, cercai di smorzare l’emozione e di non lasciar trasparire i miei pensieri. Mi era successo troppe volte di cercare una risposta a quella domanda e ancora non riuscivo a trovarla.
Non sapevo se fosse stata una scelta o una vocazione. Eppure mi trovavo lì, in quel luogo, e dalla vita non potevo dire di aver ottenuto sempre il peggio. In un certo senso ero stato fortunato ad avere quella chance, ad altri di solito non va altrettanto bene.
Mi feci coraggio e gli rivelai ciò che era giusto sapesse. D’altronde lo faceva per una buona causa, l’informazione. E si sa, di buona informazione di questi tempi ce n’è così poca!
«Di lavori ne ho fatti alcuni, ma in realtà è stato questo a segnarmi per tutta la vita. Avrei potuto, dovuto e voluto essere un altro, ma questo è ciò che sono, che sono sempre stato e forse sempre sarò.»


© Fab Draka 2012