sabato 25 agosto 2012

IL MIO GROSSO GRASSO VIAGGIO GRECO, RESOCONTO DI UNA VACANZA ELLENICA, parte 2 "Tour de force":


Il mattino seguente ci svegliamo più stanchi del giorno prima, ma dobbiamo andare. Mettiamo in valigia quel po' che abbiamo tirato fuori e andiamo a "parlare" con la proprietaria del B&B per il check-out. Saluto con un «Kalimera» e lei mi chiede se voglio del caffè. Rifiuto gentilmente e mi faccio restituire il documento che aveva preso come garanzia, poi le do la somma pattuita. Quindi ci affrettiamo ad appostarci alla fermata del bus davanti al B&B per dirigerci a Thira, da cui dovremo prendere il bus che ci porterà a Oia. Quando arriviamo alla stazione centrale c'è talmente tanta confusione che non riusciamo a trovare il bus, finché un tizio si mette a urlare «Ia! Ia!» e capiamo che è quello il bus (Oia in effetti si pronuncia così in greco). Arriviamo a Oia e purtroppo dobbiamo spostarci tra le stradine strette con il nostro enorme trolley. È talmente pesante e ingombrante che quasi mi pento di essermelo portato dietro.
Oia è molto carina, le strade sono caratteristiche, piene di negozietti e ristorantini, compriamo qualche souvenir e ci spingiamo verso la lunga strada (fatta anche di scale... maledetto trolley) che ci porta in fondo alla città, dove si vede il panorama della costa con tutte le belle casette colorate. Scattiamo qualche foto e poi siamo costretti a tornare indietro per prendere il bus per Thira (abbiamo il traghetto di ritorno alle 15 e non possiamo assolutamente perderlo). Inizia il tour de force.
Alla fermata, nell'attesa che arrivi il bus, siamo talmente affamati (non abbiamo ancora fatto colazione) che prendiamo a volo un gyros (sarebbe il kebab greco, con l'immancabile montagna di cipolla). Ma proprio mentre siamo a metà pranzo arriva il bus col suo frenetico bigliettaio che fa fretta ai passeggeri per salire e carica tutti i bagagli sul bus. La fretta è dovuta al fatto che le tratte vengono effettuate ogni mezzora e cercano di rispettare gli orari meglio che possono.
Noi cerchiamo di nascondere il gyros per salire sul bus, ma il tizio se ne accorge e ci dice che non possiamo salire col cibo (ha ragione, ma anche noi abbiamo fretta). Così, nonostante ci siamo quasi strozzati per finire il gyros in tempo per salire, ci lascia giù e sta per portarsi il nostro trolley (sì, sempre lui, il maledetto) che è nel bagagliaio, nonostante io tenti per più di una volta di fargli capire che dobbiamo riprenderlo.
Prendiamo il bus seguente, ma un numerosissimo gruppo di spagnoli occupa quasi tutti i posti del bus senza lasciare salire altra gente. Io fortunatamente riesco a trovare due posti in fondo, ma il mio raga che stava posando il bagaglio è rimasto indietro e non riesce a raggiungermi. Per un momento temo che lo lascino giù, ma per un caso fortuito viene scambiato per uno spagnolo e questi ultimi lo lasciano salire.
Sul bus mentre viaggiamo sento un italiano litigare con una donna spagnola perché i posti erano stati tutti ingiustamente occupati (ognuno parla la propria lingua e io che li capisco entrambi assisto allo spettacolo). Volano una raffica di insulti e stufo dello stupido battibecco (anche se a mio parere l'italiano aveva ragione), guardo fuori dal finestrino il panorama della campagna di Oia. Vedo le casette bianche, gli asinelli, i bar dove gli anziani giocano a carte su tavoli e sedie azzurre e poi campi arati e spaventapasseri (uno dei quali era fatto con una bambola gonfiabile, giuro!). Arriviamo a Thira e abbiamo appena un paio d'ore per visitarla prima di prendere il bus che ci porterà al porto Athinios.
Qui la prima cosa che troviamo durante il nostro tragitto è una grande chiesa in stile bizantino, all'interno è bellissima (forse una delle più belle che abbia mai visto), ma purtroppo non ci è permesso fare foto. La guardiamo ammirati da cotanta accuratezza nei dettagli e poi usciamo per cercare di raggiungere la strada che sembra portare al centro della città. La troviamo troppo caotica però e col trolley visitarla è quasi impossibile (fortunatamente eravamo in due e facevamo i turni per portarlo). Stufi, visto che la città è tutta in salita e ci sono troppi turisti, decidiamo di tornare indietro anche perché è tardi e dobbiamo prendere il bus per Athinios.
Qui altra lotta per salire. E per evitare che accada come a Oia con gli spagnoli, questa volta usiamo una tattica diversa. Il mio raga prende i posti e io metto il trolley nel bagagliaio (così in caso posso comunicare in inglese la mia urgenza nel partire). La gente quasi si ammazza per sistemare il proprio bagaglio, ma io ce la faccio e salgo subito sul bus. Sono fradicio di sudore per il caldo e anche per la lotta dovuta alla paura di perdere l'ultimo bus per il porto, ma sedutomi accanto al mio ragazzo finalmente mi rilasso. Arriviamo ad Athinios e non mi pare quasi vero di non dover fare le corse per una volta. Attendiamo il nostro traghetto in una specie di gate, dove fortunatamente grazie a due italiani troviamo posto per sedere. Poi dei turisti cinesi affollano quasi completamente il gate finché non è il momento di prendere il traghetto.
Quando siamo a bordo possiamo finalmente rilassarci e questa volta non facciamo l'errore di sistemarci sui divanetti dentro la nave. Andiamo direttamente sul pontile e ci mettiamo comodi lì al sole, dove nessuno ci disturba e possiamo godere del panorama bellissimo delle isole mentre riposiamo un po'.
Siamo esausti, ma ne è valsa la pena perché Santorini è davvero bella da visitare. Dopo un po' ci addormentiamo, il viaggio è lungo e arriveremo ad Atene solo a notte tarda.


Alla prox avventura...



© Fab Draka

venerdì 24 agosto 2012

IL MIO GROSSO GRASSO VIAGGIO GRECO, RESOCONTO DI UNA VACANZA ELLENICA parte 1: "Perissa"


Il mio viaggio inizia dal porto Piraeus di Atene, dove io e il mio raga siamo arrivati verso le tre di notte con un bus urbano che partiva dall'aeroporto (Atene per i trasporti è organizzatissima). Il porto di notte è silenzioso e un po' cupo, la gente che vi si incontra poi è un tantino particolare. Un tizio ha pisciato davanti a noi due volte senza curarsi di nascondersi meglio, un altro che cercava cibo nella spazzatura continuava a gironzolarci intorno e nonostante dovessimo aspettare il traghetto che partiva alle sette e mezza, sono rimasto seduto su un muretto tutta la notte senza chiudere occhio. L'atmosfera insomma non era delle più rassicuranti. Tuttavia la vista di altri turisti in giro (si contavano su una mano al nostro arrivo, ma sempre meglio di niente) ci ha rassicurati un po'.
Alle sette finalmente ci fanno salire sul traghetto che ci porterà nel porto Athinios di Santorini. Non appena entriamo ci fiondiamo sui divanetti e ci facciamo una mezzoretta di sonno, finché una tizia della stazza di un armadio ci sveglia dicendo in greco (poi a gesti visto che non la capivamo) che dobbiamo lasciare posto sui divanetti per gli altri passeggeri. Assentiamo e non appena sparisce ci rimettiamo sdraiati sui divanetti. Nel frattempo arrivano gli altri passeggeri che prendono posto nella sala dove ci troviamo, ben arredata e luminosa, con tanto di tv e tavoli per mangiare. Destati continuamente dal troppo chiasso decidiamo di restare svegli finché il dannato traghetto non parta (con un ritardo di quasi mezzora).
Alle otto finalmente si parte, ma siamo talmente stanchi che ci addormentiamo subito e non riusciamo a vedere il paesaggio marino che ci circonda. Tuttavia tra un pisolino e un altro riesco a intravedere qualche roccia, poi ci fermiamo a Paros per la prima sosta. Decidiamo di andare sul pontile per vedere il panorama, mentre la gente che si deve dirigere sull'isola scende dal traghetto intasando la piazzola del porto.
Così accade per altre due volte a Naxos e poi a Ios (il panorama è più o meno lo stesso, grandi rocce che si stagliano verso il cielo e una moltitudine di casette bianche con in mezzo alcune chiese dalle cupole azzurre).
Finalmente si arriva a Santorini. Prima di scendere dal traghetto ci fanno appostare tutti davanti al portale-ponte che ci farà scendere dalla nave. Sembriamo di stare in una gara di corsa. Ci mettiamo appostati in modo da poter scendere velocemente per prendere l'autobus che ci porterà a Thira, il centro vitale di Santorini nonché stazione di tutti i bus che partono per le altre città dell'isola.
La gente si accalca nella piazzola non appena il ponticello tocca terra e noi ci fiondiamo verso il bus, che fortunatamente troviamo subito e ci viene a costare più di quello che avevamo previsto.
Arriviamo a Thira, qui ci piacerebbe fermarci, ma abbiamo i minuti contati per poter arrivare al B&B prima che l'orario di check-in scada. Altra corsa contro il tempo. Troviamo il bus, mettiamo la valigia nel portabagagli e dopo una mezzora arriviamo a Perissa, dove alloggeremo.
Qui la fermata del bus si trova praticamente davanti al B&B (quando si dice avere culo). Vediamo due tizi anch'essi italiani che alloggeranno nello stesso B&B, ma non ci cagano di striscio. Ci accoglie un tizio vivace (un po' troppo forse) e una signora che non parla una parola di inglese e con cui dobbiamo capirci tramite il tizio (che parla inglese a modo suo). Fin qui tutto ok. Ci fanno accomodare in quella che dovrebbe essere la reception per prendere i nostri dati e restiamo un po' confusi. La reception sembra una lavanderia. È una cucina, ma sparso in giro c'è il bucato della mattina (credo) e sembra di essere entrati in casa di qualcuno mentre faceva le faccende di casa. Prendono i nostri dati, firmo e andiamo in camera. Il mio raga apre la finestra per far prendere un po' d'aria alla stanza e si vede comparire un asino davanti (io nel frattempo me la rido). Dietro il B&B in pratica c'è un giardino con l'asinello, tipico trasporto greco (o almeno così dicono, ma io non ho visto nessuno farci un giro).
Dovremmo andare a vedere Oia, perché abbiamo poco tempo per visitare l'isola (solo due giorni), ma optiamo per un pomeriggio rilassante al mare di Perissa, che si rivela un'ottima scelta. La spiaggia libera in cui ci sistemiamo si trova non molto distante dal B&B ed è fatta di pietruzze nere, che però non fanno male se ci cammini sopra a piedi nudi. Il mare è stupendo, l'acqua cristallina. L'unico inconveniente è che dopo un paio di metri a nuoto sotto si crea l'abisso e se non sei abbastanza alto (come nel mio caso) rischi di affogare. Il sole ci riscalda dolcemente alla nostra uscita e la gente comincia a spostarsi verso i vari localini che affollano il lungomare. Decidiamo di andare anche noi, trovando la passeggiata parecchio piacevole. I locali si sono riempiti di gente che mangia, balla (dove fanno musica live) o sorseggia un cocktail seduta comodamente sui divanetti. A ogni ristorante che passiamo un cameriere ci ferma per farci accomodare, ma ho già dato un'occhiata furtiva ai prezzi dei menù esposti e non ci penso proprio a pagare quelle cifre. Tra l'altro una prima mazzata l'avevo già avuta al porto di Piraeus dove, proprio per non aver guardato il menù prima di entrare, ho pagato undici euro per due caffè disgustosi (avete presente il rimasuglio del rimasuglio del caffè? Ecco, peggio.) e due brioche minuscole.
Ci spostiamo più avanti alla ricerca di una chiesa dal tetto azzurro che si intravede in lontananza e che sembriamo non raggiungere mai. Finalmente dopo aver girato tutti i negozi di souvenir e aver oltrepassato tutti i ristoranti e i localini la troviamo, vi entriamo ed è veramente bella. Purtroppo non abbiamo potuto fare foto perché non ci era permesso.
Dopodiché cominciamo a sentire lo stomaco brontolare. È ora di cena e decidiamo di entrare in uno dei locali che sembra costare meno (la Grecia è carissima a dispetto di quello che si dice). Il mio raga prende un'insalata greca (feta, olive, pomodoro, lattuga e chili di cipolla), io un souvlaki al maiale (è una specie di kebab con la piadina più piccola ma più spessa e dentro ci vengono messi gli ingredienti tipici di un kebab con in più uno spiedino di carne, la salsa tzatziki e chili di cipolla). Mangiamo molto bene, anche se un mucchio di gatti affamati ci circonda per tutto il tempo e io devo aspettare un bel po' prima di avere il mio delizioso souvlaki.
È la notte di Ferragosto, per cui decidiamo di passarla al mare assaggiando dei dolci tipici greci (delle specie di marshmallow alla frutta ricoperti di zucchero a velo) e bevendo l'ouzi (il liquore greco all'anice). Non ci vuole molto prima che ci ubriachiamo, perché l'ouzi è fortissimo (quasi 40 gradi) e già un sorso ti fa schizzare gli occhi fuori dalle orbite.
Passiamo la notte in spiaggia e poi verso le due e mezza, quando ormai non si vede più nessuno in giro decidiamo di tornare al B&B. La strada di ritorno non è rassicurante come all'andata. Prima di tutto perché è totalmente buia, infatti solo la luna illumina il nostro cammino, e poi perché i cani randagi sono un po' ovunque. Li sentiamo abbaiare a qualsiasi rumore sentano e non vogliamo rischiare di essere sbranati. Se questo non bastasse i cavalli, che dovrebbero trovarsi nei recinti delle case, sono invece lasciati liberi. Ci muoviamo piano piano, senza far troppo rumore per non innervosire gli animali e tenendoci stretti stretti arriviamo finalmente alla nostra stanza. Esausti ci buttiamo sul letto e ci abbandoniamo al sonno. Il giorno dopo dobbiamo svegliarci presto per andare a Oia e poiché non abbiamo ancora recuperato del tutto la stanchezza del viaggio, si prospetta come una giornata faticosa da affrontare.

Alla prox puntata




© Fab Draka

domenica 5 agosto 2012

Primo capitolo di "Love Kills"





Sono nato piangendo, come tutti gli esseri umani, mentre la gente intorno a me sorrideva felice. Ma ho deciso di terminare la mia vita in modo da essere l’unico a sorridere quando morirò. Prenderò questa perla di saggezza di Jim Morrison per esprimere in breve la mia vita.
Ho preferito abbandonare una via per seguirne un'altra e se le cose andranno peggio questo non posso saperlo, ma di certo qualcosa cambierà per sempre.

Sdraiato su quel letto freddo fissavo il muro con occhi spenti, come se tutto ciò che mi circondava fosse evanescente. La stanza, quasi del tutto buia a causa delle persiane socchiuse, era diventata inquietante non solo a causa dell’oscurità che la avvolgeva, ma anche per il fatto di essere permeata di umiliazioni e violenze che non riuscivo più a sopportare. Abusi che si perpetravano ormai da anni.
Fissavo quel maledetto muro mentre il mio carnefice abusava di me un’altra volta, senza che potessi pensare a nulla. La mia mente si svuotava del tutto ogni volta che succedeva, come se mi trovassi in una sorta di trance o in un altro luogo lontano.
All’inizio oltre alla confusione c’era stato il dolore fisico, poi col tempo mi ero abituato, ma la sofferenza che portavo dentro era immensa e non cessava mai.
Quando ebbe finito con me prese una mia maglietta e ci si pulì. Lo lasciai fare, non l’avrei mai più rimessa. Rimasi lì sdraiato sul letto mentre lui andava in bagno a pisciare, il mio sguardo rimase ancora fisso sul muro come se in qualche modo stessi cercando di guardarvi oltre, sapendo tuttavia che anche fosse stato possibile non vi avrei trovato granché.
Rientrò nella stanza e prese dei vestiti dalla sedia vicino al comò, se li mise e poi tornò in bagno a darsi un’ultima sistemata, non si era nemmeno accorto che ero ancora sdraiato sul letto. Non mi salutò neanche prima di uscire, e perché mai avrebbe dovuto farlo? Gli oggetti non si salutano.  Mi lanciò uno sguardo indifferente e andò via.
Spostai lo sguardo altrove, poi mi alzai lentamente sentendo dolori atroci ovunque, sembrava quasi che mi avesse rotto le ossa. Mi alzai a fatica e mi misi seduto sul letto cominciando a piangere disperatamente. Fuori pioveva. La natura sembrava partecipare al mio dolore. O magari era Dio che piangeva per me. “E perché non mi aiuta invece di compatirmi?” pensai con rancore.
La pioggia mi faceva venire in mente il sangue, scorre lenta su di te, scivola sulla tua pelle e può far male. Un male dannato. Il sangue mi congiungeva al mio carnefice. Stesso sangue. Un male che mi aveva condannato sin dalla più tenera età. Sapevo cosa dovevo fare. Ma quella sarebbe stata davvero l’ultima volta?
Mi misi sotto la doccia. Solo in quel modo sarei riuscito a levarmi il suo odore di dosso. Solo in quel modo avrei provato la sensazione di tornare di nuovo puro per pochi istanti. Ma erano solo attimi. Dicono che la felicità sia fatta proprio di questo, attimi. E bastava poco per farmi crollare di nuovo. Scoppiavo a piangere all’improvviso senza più riuscire a fermarmi. Uscii dal bagno totalmente nudo, ancora bagnato. Ravviai i capelli bagnati dietro la testa, raggiunsi il suo armadio e ne tirai fuori una scatola di scarpe. Gocciolavo tutto, ma questo non importava. Il contenuto di quella scatola era molto più importante.
Chiusi gli occhi un istante e presi un profondo respiro, poi la aprii. Conteneva una 9mm e un caricatore. Lui la teneva per difendersi dai ladri.  Non sapeva che avevo trovato quella scatola pochi mesi prima e che da allora ero sempre stato tentato dall’idea di farlo a pezzi con quell’oggetto così piccolo e così micidiale. Sotto la 9mm vi erano alcune foto impolverate. Ritraevano mia madre. Le guardai con gli occhi ancora gonfi per il pianto e le strinsi al petto. Ci aveva lasciati da quattro anni, ma il suo ricordo non se n’era mai andato. Il suo cuore pieno d’amore si era dedicato totalmente al mio bene, ma non aveva resistito e alla fine aveva smesso di battere. Pensai che fosse andata meglio a lei che a me. Per lei quel tragico pomeriggio l’incubo era finito, per me era appena iniziato.
Riposi le foto sotto la pistola e richiusi la scatola. Non era ancora il momento giusto. Non ero pronto per fare una cosa del genere. Per secoli l’uomo aveva lottato contro se stesso, fatto stragi, carnefi-cine e tutto senza mai rendersi conto di ciò cui andava incontro. Non si trattava solo di rubare vite umane, ma anche di distruggere famiglie, creare orfani, arrecare dolore a persone non direttamente coinvolte. Dalla mia parte non avevo alcun impedimento. Avrei solo fatto un favore al mondo. E oltre lui non avrei lasciato altre vittime innocenti lungo il mio cammino. Ma non potevo farlo, non mi sentivo ancora privo di umanità. Quella fase invece lui l’aveva ormai superata, era passato dalla parte dei mostri e io ero caduto nella realtà. Lo schianto era stato forte, improvviso, ma non mi ero arreso. Ero cresciuto in fretta nell’anima mentre nel corpo rimanevo ancora solo un ragazzino.
La pioggia cadeva pesante sull’asfalto, ogni goccia sembrava provocare un tonfo. Me ne stavo in camera a guardarla cadere lentamente attraverso la finestra. Pensai a quel posto. Avevo vissuto in quel quartiere da tutta una vita. C’ero nato in quella casa, mia madre non aveva voluto partorire in ospedale. E dalla sera in cui nacqui quella casa diventò la mia prigione. In quel luogo nacqui, crebbi e i miei sogni andarono in frantumi.
Ne avevo tanti di sogni quando ero piccolo, ma mio padre puntualmente mi faceva tornare alla realtà dicendo che non ero abbastanza capace per fare lo scienziato o l’astronomo o l’astronauta. Secondo il suo parere avrei potuto al massimo fare lo spazzino. Il mio sogno più grande erano le stelle. Le guardavo spesso quando ero piccolo, erano così numerose e splendenti che non potevo fare a meno di restare incantato dinnanzi ad esse. E chissà quante cose si nascondevano tra gli astri. Mi sarebbe piaciuto tanto poter toccare una stella, un desiderio stupido certo, ma era comunque soltanto un sogno.
Da quando la mamma era morta papà mi aveva persino tolto dalla scuola. “Tanto non ti servirà a niente” era stato il suo commento. Riuscì così a troncare non solo ogni mia aspirazione, ma anche qualsiasi contatto umano al di fuori delle mura domestiche. Finite le medie per non restare con le mani in mano dovetti quindi cercare un lavoro. Avrei voluto ribellarmi alla sua decisione, ma sapevo che se lo avessi fatto mi sarebbe andata peggio. Mi avrebbe fatto del male, avrebbe potuto uccidermi e forse sarebbe stato meglio, ma in quel periodo non mi ero ancora reso conto di quanto fosse grave la mia condanna. E quando diventai consapevole era ormai troppo tardi per fuggire, per iscriversi di nuovo a scuola o per qualsiasi altro progetto avessi in mente. La mia prigione era diventata ormai una cosa mentale da cui non potevo più uscire. Lui aveva distrutto quel briciolo di vita che ancora era rimasto in me. Ma presto qualcosa cambiò.



© Fab Draka 2011