venerdì 30 gennaio 2015

TACCHETTO 12, CAPITOLO 7: QUESTIONE DI SGUARDI

Il settimo capitolo del romanzo d'appendice "Tacchetto 12", ringrazio tutti voi che state seguendo il mio lavoro su questa storia :)

7
QUESTIONE DI SGUARDI



I ragazzi si disposero in fila sul limite del campetto di calcio. Il gruppo che si trovò davanti Cesare appariva adesso ancora più eterogeneo. Ognuno di loro aveva esperienze diverse in campo, ma ciò che lo aveva colpito quel pomeriggio era il vedere ognuno con una tuta diversa. Chi nera e corta coi calzini bene in vista a mo' di calciatore, chi lunga e blu, i restanti indossavano semplicemente maglietta bianca e pantaloncini. La differenza d'altezza tra giocatori acuiva poi quello strano effetto ottico. Non era più abituato, i pulcini avevano la loro divisa, e quello spettacolo era un po' spiazzante, ma decise di concentrarsi sui fatti. Ci sarebbe stato tempo per organizzare la squadra con una maglia comune. Solo uno di loro indossava il completo da calcio, Fabrizio, l'unico che avesse giocato tra i professionisti. Fu nel vederlo in quelle vesti che Cesare - non informato sulla verità degli eventi - si chiese quanto quel ragazzo avesse sofferto nel ritrovarsi troppo grande per continuare a giocare in una squadra professionale. Per lui questo non costituiva un problema, chiunque era ben accetto in squadra, l'età aveva poco conto se c'era il talento e la voglia di mettersi in gioco.
«Bene ragazzi, oggi cominceremo questo percorso assieme. Alcuni di voi non hanno molta esperienza in questo sport, ma non preoccupatevi, saprò aiutarvi a sviluppare le vostre capacità e sfruttarle al massimo per rendere questa squadra degna di essere chiamata tale.»
Cesare passeggiava avanti e indietro davanti a loro. Sembrava una di quelle scene da camerate, come quando il sergente Hartman di Full Metal Jacket fece il discorso iniziale alle reclute.
Sostò qualche istante davanti Davide e questi si irrigidì. La notte del primo incontro della squadra si era reso conto di aver commesso un grave errore nel baciare Manolo.
Seduti ai due lati opposti del bancone del Nievski, Davide e Manolo si erano lanciati un'occhiata furtiva e rapido quest'ultimo aveva spostato lo sguardo altrove. Era stato quel gesto a far intuire a Davide che c'era qualcosa che non andava e capì di cosa si trattava quando Cesare lo presentò come suo boyfriend. Davide aveva sorriso sotto i baffi - letteralmente -, ritenendo di essersi cacciato in una situazione assurda. Adesso però non aveva più tanta voglia di ridere, anzi si vergognava sempre più per il contesto imbarazzante che si era venuto a creare. Non era uno sfascia-coppie - e Cesare gli sembrava sempre più un bravo ragazzo -, eppure sentiva di aver innescato in qualche modo una molla.
Ora ascoltava il loro allenatore mentre spiegava l'idea della squadra e come avesse intenzione di svilupparla. Finché non avessero avuto a disposizione un numero maggiore di giocatori avrebbero seguito lo schema e le regole del calcio a cinque pur dovendo giocare fra di loro. Inizialmente ci sarebbero stati gli allenamenti basilari e in seguito - quando fossero stati pronti - Cesare avrebbe cercato, per quanto possibile, di trasmettere al gruppo le linee guida nell'ambito tecnico-tattico tenendo in considerazione le caratteristiche di ogni giocatore.
Vennero prima di tutto delineati i rispettivi compiti in base alle esperienze maturate e secondo i ruoli precedentemente ricoperti. Così fu stabilito che Antonio stesse di porta, Alessandro come difensore, Fabrizio e Manolo attaccanti e Davide centrocampista. Cesare li avrebbe anche fatti scambiare di tanto in tanto e se in seguito avesse notato particolari talenti in differenti ruoli allora avrebbe usato schemi diversi e li avrebbe potenziati in tal senso.
Mentre Cesare parlava loro di tutte queste cose, Davide si sentiva mancare il respiro. Era lì, proprio di fronte a lui, a fissarlo dritto negli occhi come se lo stesse mettendo alla prova, i suoi nervi prima o poi - ne era certo - avrebbero ceduto e a quel punto sarebbe stato scoperto. Cercò di non vacillare e di non lasciar trasparire insicurezza dal proprio sguardo. Cesare proseguì la sua camminata e Davide chiudendo gli occhi tirò un sospiro di sollievo.
«Non è un caso che tu sia stato scelto come difensore, eh?» fece Antonio dando una leggera gomitata al fianco di Alessandro. «Difensore in tutti i sensi, mio eroe» disse battendo le ciglia come un cartone animato.
«Ma smettila» replicò lusingato l'amico.
«A che si riferisce?» chiese Davide.
«Ha sventato una rapina la sera dell'incontro con Cesare» rispose Antonio eccitato.
«Davvero?» fece Davide sorpreso.
«Ho solo messo k.o. un delinquente. Lo fa sembrare come se fosse chissà che...» fece Alessandro arrossendo. «Chiunque si sarebbe comportato come me in quella situazione.»
«No, non tutti rischierebbero la propria vita per difendere qualcun altro. Sei un vero amico» rispose Antonio stringendosi al suo braccio.
Mentre iniziavano il riscaldamento con la coda dell'occhio Davide si accorse che Manolo lo stava fissando da lontano. Pensò che era incredibilmente indiscreto da parte sua. In quel modo non faceva altro che peggiorare le cose, per cui decise di ignorarlo e comportarsi come se nulla fosse accaduto.
Iniziarono una partita di prova. Lo scopo ovviamente era segnare il più possibile. Vennero divisi in squadre da due, giocando come se formassero un'intera squadra. Manolo avrebbe giocato con Davide e Fabrizio con Alessandro. Non potendo fare altrimenti quello costituiva un allenamento arduo ed estenuante sia per i ragazzi che per Cesare. Realizzò quanto fosse complicato guidare una squadra con così pochi giocatori e si disse che avrebbe dovuto trovare al più presto una soluzione anche a quel problema e scovare squadre amatoriali per uno scontro. Sarebbe servito per stimolare maggiormente i ragazzi e spingerli a incrementare le proprie potenzialità nel gioco vero e proprio.
La partita iniziò in modo parecchio precipitoso. Manolo sembrava animato da una strana agitazione e seppure Fabrizio fosse più esperto di lui in quanto a tecnica, riuscì a destabilizzarlo. Segnò più volte, anche Antonio sembrava non riuscire a stargli dietro e prevedere le sue mosse. Non esultava nemmeno, quasi ritenesse scontata la vittoria o non gli desse troppo peso, o magari perché intendeva farsi notare senza però risultare uno sbruffone.
«Sei sicuro di voler fare il portiere?» esordì poi sprezzante rivolgendosi ad Antonio. «Sei bassino.»
Antonio lo guardò torvo. «Anche Giovinco è basso, eppure lo fanno giocare no?» replicò.
«Sì, ma lui non è portiere. Pensi di farcela a coprire la porta?» Si mise a ridere, trascinando con sé i risolini degli altri compagni. Antonio digrignò i denti e cercò di contenere la rabbia.
«L'importante è che abbia una buona presa» commentò quindi Fabrizio, «Non conta l'altezza» aggiunse per tacere la provocazione di Manolo.
«Se riuscisse a prendere una palla forse» replicò questi sdegnato.
«Dagli almeno occasione di dimostrare il contrario» intervenne quindi Cesare.
«Beh, sì» disse quindi Manolo con la coda tra le gambe, «Stavo solo scherzando.»
Antonio gli rivolse un sorriso acido e Fabrizio diede una pacca sulla spalla del compagno di squadra per rincuorarlo. Questi gli rivolse un sorriso debole e poi tornò a fissare truce Manolo.
La partita riprese, ma non si videro netti miglioramenti in Antonio. Pur non essendo un campione Manolo riusciva comunque a far sì che non riuscisse a prendere la palla.
«Così è troppo facile!» sbottò a un certo punto. «Non ne prende una. Non potevi trovarne uno meglio?» si rivolse a Cesare mettendolo in difficoltà.
«Perché non vieni tu qui se sei più bravo?» replicò Antonio risentito.
Cesare capì che si stava sconfinando in un terreno pericoloso e cercò di placare gli animi.
«Ragazzi, calmatevi. È solo la prima partita che giochiamo, ci stiamo ancora riscaldando.»
«Questo qui mi sa che ha preso proprio fuoco!» esclamò acido Antonio.
A Davide scappò una risatina. Manolo avvampò dalla vergogna e con una pallonata mandò al tappeto Antonio che colpito dritto allo stomaco si accasciò per terra dolorante.
I ragazzi accorsero subito ad aiutarlo.
«Stai bene?» chiese Alessandro preoccupato. Antonio tossì e poi annuì.
«Manolo, ma che diavolo ti prende?!» gli urlò contro Cesare.
Il ragazzo lo fissò senza rispondere, dal suo volto traspariva una rabbia che non gli aveva mai visto prima.
«Sei una carogna» gli disse Antonio.
«Si può sapere cosa c'è che non va con te?» gli chiese Fabrizio minaccioso. «Non hai cinque anni, cresci.»
Davide lo fissava incredulo. Manolo stizzito se ne andò via dal campo. Cesare lo seguì fino agli spogliatoi, dove lo trattenne stringendogli un braccio.
«Ma che hai?» gli chiese confuso. «È da una settimana che ti comporti in modo strano. Stai bene? È successo qualcosa?»
Manolo non osò guardarlo negli occhi e Cesare sbuffò grattandosi la testa.
«Io proprio non ti capisco. Come faccio ad aiutarti se non mi parli? Ci sono problemi a lavoro? O hai ricevuto cattive notizie da Madrid? Insomma, che ti prende?» sbottò infine innervosito dal suo silenzio. Manolo serrò le labbra e incrociò le braccia.
Cesare si strinse nelle spalle e scosse la testa tra sé.
«Quando sarai pronto fammi un fischio» disse tornando al campetto.
Manolo si coprì il volto con le mani, vi buttò fiato caldo e riavviò i capelli all'indietro. Gli tornò in mente tutta la serata del bacio come se si fosse stampata in modo indelebile nella sua memoria.
Ogni minuzia - dal risciacquo dei bicchieri sul lavandino del bar ai vapori e odori provenienti dalla cucina poco più in là, dal chiacchiericcio della gente in sottofondo alla porta che si apriva trascinando con sé una lieve brezza proveniente da fuori - gli sembrava un elemento fondamentale di quell'incontro che ormai gli pareva cruciale.
«Ragazzi ascoltate» aveva esordito Cesare interrompendo le discussioni e levando in aria la propria birra, «Vorrei fare un brindisi al nostro primo incontro.» Non avrebbe potuto usare parole involontariamente più amare, anche la birra assunse per Manolo un sapore acre in quel momento.
Tutti alzarono i boccali e dopo un comune cin bevvero di gusto.
«Mi piacerebbe anche programmare il primo allenamento per la prossima settimana, se a voi sta bene» aveva aggiunto poi il futuro allenatore con letizia. I ragazzi accettarono di comune accordo e la serata continuò tra chiacchiere e fiumi di birra. Il pub si trasformò nel loro piccolo teatrino di orgoglio calcistico.
«Come hai fatto a capire che ero io Fabrizio fra tutti quanti?» chiese il ragazzo ingollando il terzo boccale di seguito - sembrava abituato al nettare di Cerere, perché era l'unico ancora ad apparire totalmente sobrio. Il rituale del padre lo aveva assuefatto a tal punto alla bionda spuma che ormai era come se bevesse acqua.
«Beh, l'Arcigay mi aveva detto che avevi giocato come professionista in passato e sei il più grande di tutti gli altri» ammise con un po' di imbarazzo. «Non c'è voluto molto a capire che fossi tu.»
«Ok. Dunque io sono il vecchietto della squadra?» rise tra sé il ragazzo e Cesare lo seguì a ruota.
«Siamo in due allora, amico.»
L'atmosfera si fece man mano sempre più rilassata e il gruppo parve integrarsi bene. Cesare osservò i ragazzi ed ebbe la sensazione che finalmente era sulla giusta strada. Notò anche che Manolo fissava Davide, ma era un'abitudine che sembrava non essersi tolto dacché lo conosceva. Lo infastidiva un po', ma si fidava di lui e dopo tutti quegli anni ormai non aveva dubbi sulla sua fedeltà. Si accorse anche del calore con cui Alessandro e Antonio si facevano spalla l'un l'altro e per un millesimo di secondo ebbe quasi la sensazione che fossero una coppia, ma non volle indagare. Fabrizio si trovò curiosamente a suo agio all'interno del gruppo. Era sempre stato un po' diffidente nei confronti degli omosessuali, pur non avendo nulla in contrario. Si rendeva però conto adesso che non poteva fare di tutta l'erba un fascio e che in fin dei conti quelli sembravano proprio dei bravi ragazzi. Cesare, poi, era stato molto accogliente ed era certo che lo avrebbe accettato senza difficoltà come nuovo allenatore.
«Ho giocato negli esordienti» disse Davide tra una birra e l'altra, «Ma mi sono ritirato dopo sei mesi perché ho avuto un incidente al ginocchio.»
«E ora puoi giocare tranquillamente?» chiese Antonio che per tutta la sera gli era rimasto attaccato, innescando un'inconscia punta di gelosia in Manolo.
«Credo di sì, ogni tanto faccio delle partite con gli amici e il problema non si è presentato più» rispose finendo di scolarsi il boccale. Poi rivolse lo sguardo verso la destra di Cesare, lì sostava Manolo, nascosto come un coniglio dentro una tana.
Davide sentiva di averlo messo in difficoltà baciandolo e si rendeva adesso conto che la cosa avrebbe potuto comportare dei problemi più in là se le carte fossero state scoperte. Era tuttavia altrettanto convinto che Manolo non avrebbe parlato - e lui di certo non avrebbe aperto bocca a riguardo -, perché gli era parso che anche lui ricambiasse quel bacio e quindi era ugualmente colpevole. Si disse che ci avrebbe pensato solo al momento dovuto e finché Manolo avesse mantenuto il segreto lui avrebbe fatto lo stesso.
Tornato a casa a serata finita aveva però un pensiero costante in testa. Quegli sguardi lanciati come un amo e poi il bacio gli avevano messo la pulce nell’orecchio. Così aveva cominciato a chiedersi se davvero quella fosse una coppia felice, forse stavano assieme da poco o magari da troppo e Manolo si era stufato.
Lui non era tipo da sfasciare una coppia e non si sarebbe intromesso oltre. Ma se Manolo era infelice? L'avrebbe privato dal negarsi la felicità?
Scosse la testa e si disse che era solo uno schifosissimo egoista e che la verità era che Manolo gli piaceva e anche molto. Di rado aveva incontrato ragazzi così belli. Era rimasto ammaliato dal suo fascino esotico. Prima di addormentarsi si abbandonò ad alcune fantasie su di lui e sognò con un sorriso deliziato stampato sul volto.
Quando Manolo e Cesare tornarono nell'appartamento che avevano affittato assieme, il primo andò subito a chiudersi in bagno e l'altro si gettò esausto sul letto. Si sentiva soddisfatto della serata e del gruppetto che si era creato. Era convinto che potesse nascerne non solo una bella squadra, ma anche una comitiva di amici. L'idea lo entusiasmava.
Era vero quello che ormai da tempo gli si palesava in mente. Non gli bastava più allenare pulcini, voleva avere a che fare con una squadra vera. La cosa poteva prendere piede più velocemente di quanto pensava se i ragazzi si fossero dimostrati validi.
Fino ad allora per gli allenamenti con i piccoli era stato abituato a creare percorsi per le esercitazioni usando coni colorati, organizzando mini partite in cui i bambini dovevano effettuare dei passaggi tenendo a mente alcune piccole regole, come per esempio non passare la palla a chi l'aveva appena passata o non indugiare nel trattenerla per più di qualche secondo. Organizzare una seduta di allenamento con degli adulti prevedeva tutta un'altra programmazione. Se avesse proposto gli stessi esercizi gli avrebbero riso in faccia e lui avrebbe perso l'aspetto professionale che aveva acquisito quella sera ai loro occhi.
Se da allenatore di bambini si fosse dimostrato capace di portare avanti anche una squadra professionale lo avrebbe scoperto solo provando. Era l’inizio di una nuova epoca, lo sentiva, quella in cui sarebbe riuscito a creare dall’impossibile l’incredibile e a tirar fuori dal nulla una squadra di persone ambiziose, pronte a confluire tutta la loro passione in un progetto che poteva avere un forte impatto sulla società.
Manolo si diede una rapida sciacquata al volto per togliersi quella sensazione di disagio che da tutta la sera lo devastava. Era stato poco socievole quella sera, o almeno con buona parte del gruppo. Con Davide poteva dire di essersi spinto anche troppo oltre il semplice scambio di chiacchiere.
Tornato in camera con quella sensazione di pesantezza di cui non riusciva a sbarazzarsi, si sdraiò accanto a Cesare e questi lo cinse a sé, poi lo baciò sulla guancia. Manolo si voltò verso di lui, lo fissò negli occhi e non potendo sopportare quello sguardo d'amore incondizionato chiuse gli occhi e lo baciò sulle labbra. Si abbandonarono a un amplesso passionale e nel frattempo le guance di Manolo si rigarono silenziosamente di lacrime, perché tutto ciò a cui riusciva a pensare mentre faceva l'amore col proprio ragazzo era Davide che si faceva spazio dentro di lui.
Ora, mentre si trovava dentro gli spogliatoi dopo l'attacco feroce ad Antonio, l'idea lo sconcertava un po' e non tanto perché fosse in sé sbagliata, quanto perché si rendeva sempre più conto di volerla realizzare concretamente.


#FabDraka #GayCalcio #Tacchetto_12_Capitolo7



mercoledì 21 gennaio 2015

TACCHETTO 12 - CAPITOLO 6: IL PRIMO INCONTRO

Il nuovo capitolo del romanzo d'appendice "Tacchetto 12" tutto per voi. Godetevelo :)

6
IL PRIMO INCONTRO



«Sei pronto?» chiamò Cesare dall'altra stanza.
«Sì» rispose Manolo dandosi un'ultima sistemata al ciuffo ingellato.
Presero le chiavi dell'auto e si avviarono verso la scalinata Alessi. Il primo incontro con i futuri giocatori della squadra era stato stabilito per le undici di sera al Nievski, il pub che si trovava proprio sotto le scale.
Cesare era emozionato, lo si vedeva da come guidava. Anche Manolo lo era, ma per motivi diversi.
Quando arrivarono al pub si guardarono attorno, nella speranza di trovare i ragazzi in questione. Si erano dati appuntamento dentro il locale. Non sembrava però essere arrivato ancora nessuno.
«Sei sicuro che abbiano dato conferma?» chiese Manolo. «Joder! Odio aspettare la gente.»
Cesare roteò gli occhi. «Detto da te che ci stai tre ore a prepararti...»
«Mi piace essere perfetto.»
«Ma lo sei» disse schioccandogli un rapido bacio sulle labbra.
Presero posto al bancone del pub e ordinarono due cervezas.

Alessandro cercò di far partire l'auto, ma proprio non voleva saperne. "Proprio stasera si doveva scassare 'sto catorcio!" pensò colpendo il manubrio con una manata. "Antonio ci tiene ad arrivare puntuale" si disse scoraggiato. Prese il cellulare e lo chiamò.
«Ma dove sei? È da mezzora che ti aspetto!»
«Lo so, indovina?»
«No, non me lo dire! La vecchia ha fatto cilecca. Porca miseria! Proprio adesso! E come se non bastasse la nostra auto l'ha presa Lucia per uscire con le sue amiche. E ora che facciamo?»
«Io posso andare a piedi ma tu? Pensi di riuscire a prendere un urbano? Oppure un taxi?»
Ad Antonio fuoriuscì una risata secca. «Seee! Vengo con la limousine quasi quasi.» Sospirò. «D'accordo, vedo se riesco a trovare un bus. Tu puoi aspettarmi alla fermata di Piazza Borsellino? Così andiamo assieme.»
«Certo, ti aspetto lì.»

Il cinquantino sfrecciava per Viale Rapisardi a tutta velocità. Su di esso Fabrizio aveva un'apparenza un po' goffa, un ragazzo muscoloso e dall'aspetto imponente come lui faceva una strana impressione su un mezzo di quel tipo.
Il cuore gli batteva forte. Sentiva che quella avrebbe potuto essere la sua ultima occasione per giocare in una squadra. La scoperta che fosse stata organizzata dall'Arcigay fu all'inizio una vera e propria sorpresa, ma non si lasciò demoralizzare. Era disperato e non voleva lasciarsi sfuggire quell'opportunità. Per cui sarebbe andato all'incontro e se poi si fosse sentito troppo a disagio allora avrebbe lasciato perdere. Non voleva risultare omofobo o intollerante, ma il fatto di essere preso per gay non gli andava molto a genio.
Stava facendo un tentativo per il proprio futuro e se fosse stato necessario avrebbe finto, sì, se non lo avessero accettato in squadra solo perché era eterosessuale non se lo sarebbe perdonato. Era disposto a tutto pur di rimettersi in gioco.

Manolo aveva appena terminato la propria birra, annoiato e stanco di aspettare disse a Cesare che andava in bagno. Mentre saliva la scalinata che portava alla toilette incrociò la sua strada un ragazzo alto e di bell'aspetto. Aveva una folta barba e i capelli tagliati alla moda. Manolo lo fissò insistentemente e questi gli rivolse uno sguardo malizioso. Dopo essersi incrociati si voltarono entrambi per squadrarsi una nuova volta. Manolo delineò un sorriso sulle labbra carnose e continuò a salire le scale. Il ragazzo si fermò un momento, poi lo seguì.

L'urbano si fermò a Piazza Borsellino. Antonio scese guardandosi a destra e a manca in cerca dell'amico. Vide Alessandro seduto su una panca intento a leggere dei messaggi al cellulare.
«Ehi» gli disse avvicinandosi. Alessandro alzò lo sguardo e parve illuminarsi al solo vederlo.
«Scusa se ti ho fatto aspettare tanto, ma lo sai come va ogni volta con questi bus. Ne passa uno ogni morto di papa.»
Alessandro sorrise e fece segnò che non importava. In fin dei conti era in parte anche colpa sua, se i suoi genitori gli avessero comprato un'auto nuova tutto ciò non sarebbe successo. Si era accontentato di quel catorcio per avere un mezzo con cui spostarsi senza dover necessariamente dipendere da loro o da Antonio, ma alla fine non era servito a niente.
Di fretta si misero per strada, avevano già quasi un'ora di ritardo.
«Prendiamo di qua, è una scorciatoia. Faremo prima» propose Antonio.
Alessandro annuì e lo rincorse.

Cesare tamburellava le dita sul bancone del bar. Guardò l'orologio, era già mezzanotte meno un quarto. Si domandò se non gli avessero volutamente dato buca. Magari qualcuno era passato, aveva visto solo lui e se n'era andato pensando che non fosse una cosa seria. L'attesa lo snervava. Decise di prendere un'altra birra. Mentre il barman gliela serviva ebbe modo di pensare alle parole da usare quando e se si fossero presentati i ragazzi. Voleva risultare professionale, seppure il progetto fosse ancora meramente amatoriale.
Sperava non fossero un mucchio di incapaci, o peggio qualcuno troppo convinto. Con i bambini era più facile avere a che fare. Stimavano la sua autorità, sapeva come coinvolgerli per far sì che lo prendessero sul serio, ma con persone adulte era una cosa nuova e non era detto che le cose andassero come immaginava. Incrociò le dita e poi prese un sorso di birra.

Fabrizio parcheggiò il motorino in fondo alle scalinate. Ripose il casco nel vano sotto il sedile e si diede una veloce occhiata allo specchietto. Si vide teso e lo era. Prese un profondo respiro e salì velocemente le scale. Oltrepassò i tavolini posizionati fuori dove la gente stava cenando ed entrò nel pub. Subito gli fece una strana impressione. Non era mai stato in quel posto e se lo immaginava diverso vista la clientela che di solito lo frequentava. Lo trovò accogliente, di casa. Sparse un po' ovunque immagini satiriche e simbolismi comunisti. C'era un ritratto di Lenin appeso a un muro e un po' ovunque utensili da cucina erano stati utilizzati per costruire lampade, corrimano e cose del genere. Lo trovò parecchio originale.
Guardandosi attorno cercò un gruppetto che potesse sembrare una squadra di calcio, ma vide poca gente. Al bancone una ragazza vestita in modo provocante stava discutendo animatamente con un uomo parecchio più grande e rideva sguaiata. C'era un tizio che beveva una birra tutto solo e un gruppetto di uomini - tre - che ridevano e scherzavano tra loro. "Eccoli" pensò e prendendosi di coraggio si avviò verso di loro.

Manolo uscì dal bagno e si trovò davanti il ragazzo che poco prima aveva incrociato sulle scale. Sussultò e si portò una mano al petto.
«Joder! Mi hai fatto venire un colpo!»
Il ragazzo in risposta sorrise.
«Ti dispiace?» gli chiese facendogli segno di spostarsi dal lavandino. Il ragazzo si scostò e lo lasciò lavarsi le mani. Manolo lo osservò dallo specchio e il ragazzo lo fissò a sua volta. Quando si voltò asciugando le mani su un pezzo di carta piegò leggermente la testa di lato. «Ci conosciamo?»
«No, ma ti ho visto spesso in giro. Solo che tu non mi hai mai notato. Io sono Davide» disse porgendogli la mano.
«Manolo.»
«Manolo. Non è un nome straniero? Spagnolo, vero? Si sente dall'accento.»
«Sei perspicace oltre che carino.»
Il ragazzo gli mostrò un sorriso smagliante e Manolo ne fu in qualche modo rapito. Non aveva mai visto un sorriso bello come quello. Lo guardò dritto negli occhi e si sporse leggermente in avanti per congedarsi da lui e tornare al piano di sotto. Ma Davide lo prese come un segnale e si avvicinò a sua volta, quindi lo baciò.

«Dai corri, siamo in ritardissimo!» esclamò Antonio guardandosi indietro. Alessandro lo seguiva sfiancato. Si fermò tenendosi sulle ginocchia e prese ampi respiri.
«Tu mi farai morire, lo so.»
«Suvvia! Se ti stanchi per questa corsetta come farai durante gli allenamenti?»
Alessandro annuì. «Forse non è stata una buona idea iscrivermi.»
Antonio lo prese per il risvolto del giubbotto e lo trascinò.
«Hai solo messo su un po' di ciccetta natalizia. La smaltiremo facendo corsa. Ti rimetto in sesto in quattro e quattr'otto.»
«Tu hai decisamente voglia di uccidermi» rispose Alessandro ansimando.
Ripresero a correre e svoltando l'angolo si trovarono davanti un tipo dall'aria poco rassicurante.

«Ciao» disse Fabrizio al gruppo. Sembrava impacciato e non era da lui.
I tre uomini lo guardarono e squadrarono da testa a piedi. Uno di loro, poggiandogli la mano sulla spalla, lo fissò con lascivia e gli disse: «Ma ciao!»
«Io sono Fabrizio, voi siete...» Non riusciva a trovare le parole per esprimersi. Non era decisamente il tipo di situazione in cui si sentiva a suo agio.
«Siamo qui per te, bel ragazzone» rispose l'uomo, un tipo impostato, coi capelli brizzolati e una barbetta incolta, anch'essa brizzolata.
«Ok» fu tutto ciò che riuscì a rispondere Fabrizio. «Quindi che si fa?»
«Non lo so, caro. A te cosa va di fare?»
«Ne parliamo un po'? Per capire meglio la cosa e organizzarci.»
«Sei un tipo che la tira per le lunghe. Va bene. Di che vuoi parlare?» chiese con tono fascinoso.
«Non so, le esperienze passate sul campo magari. Voi ne avete?»
Gli uomini scoppiarono a ridere.
«Puoi dirlo forte, ragazzo» rispose un altro del gruppo, un tipo con degli occhiali molto sottili e due occhi di un azzurro impressionante. Anche lui sembrava avere la stessa età degli altri, erano più o meno tutti e tre sulla quarantina.
«Ah perfetto. Così sarà più facile per tutti» disse Fabrizio, anche se rassicurato solo di poco. Il brizzolato continuava ad accarezzargli la spalla con la sua mano robusta e la cosa cominciava a infastidirlo.
«Per tutti?» chiese il terzo uomo. «Questo qui sì che parla come si deve! Insieme sarà più bello, certo» disse poi con malizia rivolgendosi direttamente a lui.
Fabrizio corrugò la fronte, ma non diede peso alle sue parole.
«Ci prendiamo una birra? ...Per scioglierci un po'» propose. I tre annuirono soddisfatti e ordinarono da bere.

I due ragazzi fermarono improvvisamente la propria corsa. Fecero per oltrepassare l'uomo, ma questi bloccò loro la strada.
«Siamo di fretta, potresti farci passare per piacere?» chiese Antonio.
«Mi date qualcosa? Per mio figlio.» Rovistò nelle tasche e ne uscì una fotografia logora e vecchissima.
«Cavolo, deve avere più anni di te "tuo figlio"» replicò scettico Antonio.
L'uomo non colse la provocazione e insistette, ma i due ragazzi rimasero immobili. Quindi l'uomo si inferocì.
«Nisciti i sordi!» esclamò.
Alessandro sgranò gli occhi e Antonio parve non aver capito bene.
«Aspetta un attimo, ci stai rapinando?» chiese incredulo.
«Liestu, nesci i sordi o ti 'mazzu!» insistette tirando fuori di tasca un coltellino.
Alessandro impaurito fece per tirare fuori il portafogli, ma Antonio lo fermò.
«Ci mancava sulu chistu stasira» disse digrignando i denti. «Leviti ri menzu.»
L'uomo si preparò a sferrare il colpo, ma Alessandro tirò a sé Antonio e poi lo spinse a muro. Il rapinatore si avventò contro di lui e finirono per terra. Alessandro lo trattenne prima che potesse accoltellarlo e gli sferrò un calcio in mezzo alle gambe. L'uomo si accasciò di lato dolorante, Antonio aiutò l'amico a rialzarsi da terra e prendendolo per mano si misero a correre a perdifiato lungo quel corridoio stretto che era diventata la strada.

Mentre la lingua di Davide si faceva spazio nella bocca di Manolo, a quest'ultimo come in un flashback tornarono in mente tanti momenti del passato che pensava di avere ormai dimenticato. I ricordi vennero a galla con tale prepotenza che gli fecero quasi male. Era la prima volta che tradiva Cesare, non si era mai spinto tanto oltre. Da cinque anni erano una coppia modello, ammirata da tutti per la longevità del loro rapporto e per l'affiatamento con cui conseguivano nel portarlo avanti.
D'un tratto gli vennero in mente tutte quelle nottate passate in chat a chiacchierare e poi quella volta che Cesare gli aveva detto che sarebbe tornato a trovarlo in Spagna. Alla fine era stato lui però a fargli una sorpresa e si era spinto fino a Catania per una breve vacanza.
La città lo aveva affascinato e gli erano piaciuti molto i ragazzi del posto, ma Cesare sembrava avere altri piani. E quella che inizialmente era stata una semplice amicizia online, si trasformò in quei giorni in una breve avventura amorosa. Solo che al ritorno in Spagna Manolo sentì di aver lasciato una parte di sé in Sicilia. Così tutto per la prima volta gli fu veramente chiaro e decise di andare in Erasmus. Era l'unica scusa che poteva usare per tornare dal suo innamorato.
Al termine del suo periodo d'Erasmus era stato costretto a tornare in Spagna. Era stato difficile separarsi da Cesare, seppure questi gli avesse promesso di andare da lui non appena si fosse liberato dal lavoro. Così Manolo era tornato a malincuore alla sua vita di prima. Erano stati otto mesi insieme e temeva che la loro relazione si riducesse a quel breve periodo d'amore. Ma pian piano Madrid gli divenne sempre più stretta e si fece spazio in lui una decisione drastica.
Lasciò l'università e si trasferì definitivamente a Catania per vivere con Cesare. Questi non aveva approvato la sua decisione, ma ormai era troppo tardi per rimediare e comunque era felice di averlo di nuovo accanto.
Da allora erano passati cinque anni ed erano stati anni felici, divertenti, spensierati. Ora che ci pensava erano passati anche troppo in fretta, era stato tutto troppo bello e ora? Quegli ultimi mesi erano stati noia? Sentiva di aver perso un po' di quell'entusiasmo iniziale, ma non tanto da spingersi a un gesto del genere.
Scosso da quei pensieri e preoccupato dalle conseguenze che potevano comportare le sue azioni si staccò di colpo da quel bacio e si scusò col ragazzo, lasciandolo da solo in bagno mentre lui riscendeva velocemente le scale.

Cesare si domandò che fine avesse fatto Manolo. Erano quasi dieci minuti che era in bagno. Mancavano cinque minuti a mezzanotte e ormai temeva di aver fatto un buco nell'acqua. Non sarebbe venuto nessuno all'appuntamento. Ormai ne era convinto.
Mentre sorseggiava la sua birra sentì le chiacchiere di un gruppo di uomini seduti al bancone poco distante da lui. Facevano discorsi palesemente sessuali senza alcun ritegno, li guardò con sdegno e si voltò dall'altro lato. Non gli erano mai piaciute le persone così esplicite.
Ad attirare la sua attenzione fu però una frase del più giovane tra loro.
«Quando si comincerà a giocare?»
I tre uomini lo accarezzavano in modo fin troppo esagerato e il ragazzo sembrava palesemente a disagio, ma non fiatava e subiva cercando di sviare il discorso altrove - o almeno così parve a lui.
«Possiamo giocare anche fra poco se ti va. Il tempo di bere i nostri cocktail» rispose tra gli uomini quello che aveva barba e capelli brizzolati.
«A quest'ora di notte? E dove? Non sono chiusi i campi?»
I tre lo guardarono straniti e a quel punto Cesare intervenne alzandosi e prendendo per le spalle il più giovane dei quattro.
«Ehi ciao!» esclamò. «Eccoti arrivato! Devi essere Fabrizio, il giocatore professionista.»
Questi parve sollevato nel riuscire a tirarsi fuori da quella situazione che si era fatta sempre più inquietante.
«Vieni vieni, ti aspettavamo!» continuò Cesare tirandolo verso di sé. «Scusate ragazzi se ve lo rubo, ma abbiamo cose importanti di cui parlare.»
«Eh, ma c'eravamo prima noi» borbottò quello dei tre che portava gli occhiali sottili.
Proprio in quel momento Manolo spuntò e fece per avvicinarsi a loro.
«Mi spiace, deve esserci stato un malinteso» si scusò Cesare. «Ecco, io sono l'organizzatore della squadra e ne sarò probabilmente anche l'allenatore.»
Fabrizio finalmente parve capire il grosso malinteso in cui era incappato e ripensandoci gli salì un brivido su per la schiena.
«Lui è Manolo, il mio boyfriend. Anche lui giocherà in squadra.»
Manolo gli strinse distrattamente la mano. Era ancora troppo preso da quanto era accaduto prima.
«Quindi al momento siamo solo in due a giocare?» chiese Fabrizio.
«Beh, c'erano altri tre iscritti a dire il vero, ma non sono ancora arrivati. Se sarà necessario mi metterò anch'io in campo» lo rassicurò.
Fabrizio annuì, ma non era ancora molto convinto della cosa.

Antonio e Alessandro arrivarono alle scale sudati e stremati. Non avevano mai corso tanto in vita loro. Alessandro si teneva il fianco e sembrava sul punto di stramazzare per terra da un momento all'altro. Aveva la faccia e le orecchie rosse e ciò fece ridere Antonio di gusto.
«Te... te la ridi.. te la ridi, eh?» fece ansimando e prendendo grande boccate d'aria. «Ti... ti faccio... ridere io. Tu e le tue scorciatoie del cavolo!»
Antonio si avvicinò a lui e gli poggiò una mano sulla schiena.
«Ci hai salvato entrambi stasera, sei stato un vero eroe.» Gli schioccò un bacio sulla guancia e Alessandro parve riprendersi tutto d'un tratto.
«Figurati...» rispose imbarazzato grattandosi dietro la testa. «Sono stato preso dal panico e ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque... credo.»
Antonio lo prese a braccetto e insieme salirono le scalinate per dirigersi al Nievski.
Quando entrarono si guardarono attorno e videro della gente al bancone. Tre erano troppo grandi per essere calciatori - e i loro fisici lo dimostravano -, altri tre invece erano in forma e più giovani degli altri.
«Saranno loro?» si domandò Alessandro. L'amico si strinse nelle spalle e fecero per raggiungerli. Proprio in quel momento Alessandro si fermò nel vedere un ragazzo spuntare all'improvviso dal cortiletto interno che portava ai bagni. «Davide? ...Davide!» lo chiamò agitando la mano.
Il ragazzo si voltò verso di lui e sorridendo gli andò incontro.
«Quanto tempo! Che ci fai qui? Oh, scusami. Lui è Antonio, un mio amico.»
«Piacere» fece questi stringendogli la mano.
«Davide è un mio collega d'università. Abbiamo seguito le lezioni di storia il primo anno e poi... beh ci siamo persi di vista. Che fine hai fatto?»
«Mi sono messo sotto con lo studio» rispose sfoggiando il suo sorriso smagliante.
«Beato te, io sono un pigrone. Ancora ho dato pochissime materie» si imbronciò e Antonio lo sbeffeggiò facendosi una risata.
«Se vuoi qualche volta possiamo studiare assieme, magari ti presto i miei appunti.»
«Ti ringrazio!» esclamò sorpreso Alessandro. «Sei con i tuoi amici?»
Davide scosse la testa. «In realtà ero qui per un appuntamento con un gruppo di calciatori.»
Alessandro e Antonio sgranarono gli occhi e in coro risposero: «Anche noi!»
«Davvero? Forte! Non immaginavo che tu...»
Alessandro sorrise.
«Beh, a dire il vero neanch'io lo pensavo di te.»
«Ci siamo solo noi? Ho aspettato un sacco, pensavo non venisse più nessuno» fece Davide guardandosi attorno.
«In realtà abbiamo avuto un piccolo imprevisto, dopo ti racconto» spiegò Alessandro.
Tutti e tre insieme si diressero verso Cesare e gli altri e chiesero se fossero loro gli altri calciatori della squadra gay. Manolo impallidì nel vedere il ragazzo che aveva baciato solo due minuti prima stare adesso in mezzo a loro. E si rese conto di aver commesso l'errore più grande della sua vita.


#FabDraka #Tacchetto_12 #GayCalcio

martedì 13 gennaio 2015

TACCHETTO 12: CAPITOLO 5 - MANOLO

A voi il nuovo capitolo del romanzo d'appendice "Tacchetto 12". E' breve, ma spero vi piaccia :)

5
MANOLO



Manolo si vestì con cura, dandosi più volte occhiate invitanti allo specchio, ammiccando con la propria immagine riflessa e mandandole baci. Si sentiva proprio bello quella sera.
Per l'incontro col gruppo di ragazzi che avrebbe costituito la squadra di calcio gay si era tirato a lucido da testa a piedi.
Faceva così per qualsiasi evento in cui aveva la possibilità di conoscere gente nuova, che fosse l'inaugurazione del nuovo locale gay in città, il pride o una semplice serata tra amici.
 Non si faceva sfuggire per nulla al mondo un'occasione per farsi notare. Il suo ragazzo non avrebbe approvato, ma poco importava. Non si spingeva mai oltre quel flirt fatto di occhiate fugaci e allusive. Un gioco intrigante. La caccia gli era sempre piaciuta. Lui era un tipo caliente, come tutti gli spagnoli.
Era nato a Madrid e si era trasferito a Catania per motivi di studio - o almeno questa era stata la scusa ufficiale, in realtà non si era lasciato sfuggire come ogni universitario l'opportunità per svignarsela di casa e da allora erano già passati sei anni. Madrid era un luogo ricco di stimoli per un ragazzo come lui, ma ormai gli sembrava di conoscerla tutta. Proprio tutta. Così aveva cercato nuovi terreni fertili e lì a Catania si era trovato in paradiso.
I maricones lì abbondavano che era una bellezza. Ma si era fidanzato presto, poco dopo essersi trasferito, così ormai la caccia si era limitata a quegli sguardi ricchi di lussuria.
Era un giovane avvenente, per cui i ragazzi non mancavano mai di provarci con lui. Era alto, snello, dai capelli scuri e la pelle olivastra, occhi verdi e penetranti, ma in qualche modo cattivi all'apparenza.
Cacciare era stato in passato il suo scopo primario. Fino a qualche anno prima i suoi desideri non erano ancora ben definiti. Aveva cominciato l'università senza però essere cosciente della scelta. Non sapeva cosa sarebbe stato della sua vita, non aveva progetti né ambizioni, divertirsi era tutto ciò che gli importava.
Poi la rivelazione era arrivata, all’improvviso, durante le Olimpiadi LGBT del 2008, come erano stati comunemente definiti gli Eurogames di Barcellona. Quel giorno avrebbero giocato anche i King Kickers, una squadra di Milano che era andata per rappresentare l'Italia.
Manolo era andato più per attraccare che per spirito sportivo - seppure lo sport non gli fosse mai dispiaciuto e lo praticasse regolarmente - e per l’occasione aveva indossato laccetti, calzini e bandana rainbow. Giusto perché a nessuno sfuggisse che era gay.
Ai botteghini c’era una manada di persone che aspettavano con impazienza di poter entrare. Lui fortunatamente si era risparmiato l’agonia di quel caldo asfissiante acquistando i biglietti in prevendita.
Per entrare la gente spingeva, quasi non vi fosse più spazio sulle gradinate e in effetti entrando la confusione era parecchia. Sgomitando era riuscito a trovare posto - anche se sarebbe rimasto in piedi per buona parte del tempo.
Quando iniziò la prima partita di calcio la tribuna scoppiò in applausi e cori di incitamento, mentre una ragazza dall’altoparlante annunciava l’entrata dei giocatori in campo.
Al fischio dell’arbitro la partita ebbe inizio e pareva già uno scontro accanito mentre Manolo saltava sugli spalti e seguiva gli spostamenti dei giocatori con un’attenzione maniacale.
Si era reso conto di non essere l'unico a essere tanto preso. Vicino a lui un ragazzo alto, dai capelli castani e dal volto intrigante aveva gli occhi incollati sul campo. Quando vedeva uno degli attaccanti a tiro della porta si portava le mani alla bocca, spalancava gli occhi e si mordeva la punta delle dita. Lo fece sorridere. Poi, a seconda che la squadra segnasse o meno, mandava un lamento di sgomento o di esultanza e se era davvero entusiasta abbracciava perfino il tifoso che aveva a fianco, seppure fosse uno sconosciuto. E così aveva fatto con lui. Ogni volta che la squadra segnava si agitava come un ossesso e urlava di gioia.
Dopo quell'abbraccio di vittoria si erano messi a commentare la partita in spagnolo, seppure il ragazzo - che era andato lì proprio per tifare i King Kickers - fosse italiano. E questi gli fece notare l'importanza di un tale evento. Pur trattandosi di gare sportive, esse erano qualcosa di più, era un modo per mostrarsi al mondo, per far saltare all'occhio il fatto che tutti siamo uguali. La cosa poteva avere una certa influenza nella società e nella politica.
Una volta terminati i giochi si incamminarono per le strade di Barcellona. Entrambi erano forestieri in quella città e non sarebbero rimasti molto per poterne godere assieme le bellezze. Manolo doveva tornare a Madrid e il ragazzo - che era appunto italiano - doveva tornare nella sua amata Sicilia.
Manolo non avrebbe mai creduto che di lì a qualche tempo quel ragazzo sarebbe diventato la sua relazione più importante. Quella sera avrebbero cenato assieme, si sarebbero scambiati i contatti e avrebbero iniziato un'amicizia online che presto si sarebbe trasformata in qualcosa di più.
Arrivati alla stazione di Barcellona Sants si salutarono calorosamente, ripromettendosi di sentirsi presto.
«È stato un piacere conoscerti Manolo.»
«Anche per me. Ci sentiamo presto Cesare.»


#FabDraka #GayCalcio #Tacchetto12

sabato 3 gennaio 2015

TACCHETTO 12 - CAPITOLO 4: CESARE

A voi il nuovo capitolo del romanzo d'appendice "Tacchetto 12". Gustatevelo e condividete :)

4
CESARE



Nel campetto da calcio i bambini scorrazzavano impazziti correndo dietro la palla dai pentagoni neri e gli esagoni bianchi. Le loro risate, argentine come campanellini quando segnavano, riempivano il cuore.
Cesare li vedeva esultare nelle loro micro-uniformi, tutti contenti, e pensava che era bello essere così spensierati. Si disse che stava facendo un buon lavoro, perché l'importante non era forse che si divertissero?
Le mamme erano state felici del progetto e i padri orgogliosi dei risultati che i loro piccoli prodigi stavano ottenendo. Se solo questi ultimi avessero saputo che alcune delle loro mogli ci avevano provato spudoratamente con lui!
Nonostante si trattasse sempre di complimenti velati, a lui erano state chiare sin dal principio le intenzioni, ma non gli importava molto, anche perché non avrebbe saputo che farsene. Le donne non gli interessavano minimamente. Aveva iniziato da poco una relazione seria con un ragazzo venuto in Erasmus a Catania, ma questo ovviamente quelle madri non lo sapevano. La sua vita privata non le riguardava. Teneva ben separato il lavoro da ciò che era la sua persona al di fuori del campetto da calcio.
Aveva cominciato a fare l'allenatore dopo aver conseguito la laurea in Scienze Motorie. Era poi stato assunto dal Centro Universitario Sportivo di Catania per allenare i piccoli talenti di domani. Ma covava ambizioni ben più impegnative. Dentro era rimasto il gran sognatore che era stato da ragazzino e un sogno in particolare gli frullava in testa da un pezzo.
L'idea era nata in lui già diversi anni prima, quando aveva solo diciotto anni e non avendo un vero e proprio talento nel calcio - ma conoscendone perfettamente tattiche e regole - sperava un giorno di poter allenare una squadra. Non aveva avuto molto incoraggiamento a riguardo. Era un progetto ambizioso, ma lui era sempre stato dell'idea che con la giusta dose di determinazione sarebbe riuscito nell'impresa. E poi serviva la pubblicità! La pubblicità era ciò che contava davvero per concretizzare la cosa. Ne aveva avuto conferma leggendo di certe squadre che erano sorte in alcune città italiane, quelle città in cui la discriminazione non mancava di certo, ma in cui il progetto era stato realizzabile e aveva riscosso successo grazie a tanta propaganda: una squadra di calcio omosessuale.
I King Kickers di Milano erano stati tra i primi ad avere in mente un obiettivo di tale portata. Ma nel meridione nessuno prima dei Pochos di Napoli aveva proposto questa iniziativa.
Cesare aveva seguito le notizie su internet, girovagando tra social network, blog e articoli di giornale. E questo gli aveva dato il coraggio necessario per non abbandonare la speranza e portare avanti la propria idea.
Era fermamente convinto che con lo sport avrebbe potuto cambiare le cose, ribaltando le sorti dall'emarginazione in cui continuava a vivere la comunità gay. Perché le cose potevano e DOVEVANO cambiare. Sì, ma dall'interno, quella auto-ghettizzazione di cui si erano resi vittime gli omosessuali doveva sparire. Ed era il risultato dell'estraniamento da certe tradizioni sociali italiane, come il calcio ...per dirne una.
Quante volte si era sentito allontanato perché amava uno sport che i più nel suo giro sdegnavano? Quante volte si era dovuto trattenere dal raccontare i risultati sportivi della giornata appena trascorsa per paura di annoiare gli altri? E quante altre aveva dovuto fare i salti mortali per trovare qualcuno con cui intrattenere una semplice conversazione calcistica mentre si trovava al pub del Cortile Alessi a bere una birra?
Ora toccava a lui portare avanti un'idea che era dannatamente buona, ma allo stesso tempo anche dannatamente complicata da mettere in pratica. Non tanto perché fosse difficile in sé, quanto perché trovare ragazzi gay interessati al calcio era come cercare un ago in un pagliaio.
Non sapeva ancora come si sarebbero sviluppate le cose, perché avrebbe avuto a che fare non più con bambini, ma con persone adulte di diverso background sociale e culturale.
Aveva iniziato da un semplice annuncio. Un annuncio in cui si chiedeva l'adesione gratuita e senza remunerazione in una squadra di calcio dilettantistica. Per rendere le cose più semplici aveva coinvolto l'arcigay di Catania grazie alle proprie conoscenze.
Era già passato quasi un anno e le sue sporadiche visite alla sede di via Vittorio Emanuele II non avevano ancora sortito un riscontro positivo.
Il Capodanno era passato tra i soliti festeggiamenti e il suo buon proposito per l'anno a venire era stato quello di realizzare il progetto. Se non vi fosse riuscito avrebbe smesso di fare buoni propositi e costruire castelli in aria.
Anche quel pomeriggio si era recato all'arcigay, dove aveva incontrato il ragazzo dai capelli bruni e dalle profonde occhiaie che lo aveva accolto la prima volta mesi prima. Voleva solo sapere se c'erano novità e già si aspettava un rassegnato no con un cenno del capo, ma con sorpresa aveva già trovato tre iscritti.
Rincuorato si disse che a quel punto scovare giocatori per creare una squadra era solo questione di tempo. Bisognava però raggiungere il numero minimo. Altrimenti non se ne faceva niente.
Però in qualche modo c'era riuscito. Alla fine qualcuno l'aveva trovato anche se a rispondere all'annuncio erano stati solo in tre - quattro se contava anche il proprio ragazzo, che però evidentemente non aveva ancora trovato il tempo per mettersi in lista. Lo avrebbe informato.
Quattro giocatori. Era già qualcosa.
Aveva pensato di indire una riunione per conoscere i ragazzi, in modo da scoprire con chi avrebbe avuto a che fare e anche capire se facevano seriamente. Non voleva ritrovarsi con un mucchio di ragazzi eccitati solo dall'idea di andare negli spogliatoi per fare qualcosa di più che cambiarsi la divisa.
Ma voleva aspettare ancora un po', il tempo che si iscrivesse qualcun altro. Ne sarebbero bastati solo un paio e poi avrebbe potuto concretizzare qualcosa.


#FabDraka #GayCalcio #Tacchetto12