domenica 28 ottobre 2012
Ricordi del passato...
Poco fa cercando in vecchie scatole ho trovato i miei vecchi diari e le lettere che io e la mia migliore amica ci scrivevamo alle scuole medie. Sembra passato un secolo, neanche le ricordavo più. E leggendole mi sono reso conto di quanto si possa cambiare negli anni, di quanto si possa passare in fretta dall'età dell'innocenza a quella delle responsabilità e della durezza della vita. Ci sono momenti in cui ti chiedi "Ma io ero veramente così?" e ti sorprendi della risposta, perché non ti riconosci più in quelle parole. Si cambia molto rapidamente e si diventa altre persone, non sempre quelle che avremmo voluto essere. E' strano come ci si crei un'idea di sé totalmente diversa quando si è più piccoli. Spesso si è ingenui a quell'età, è vero, ma comunque ti fa uno strano effetto vedere come sei adesso e ricordarti come avresti voluto essere o come avresti voluto che la tua vita fosse. E' molto dolce comunque il sapere di aver avuto, anche se per un breve periodo di tempo, un'innocenza tale da farti pensare che nulla poteva andare storto nella tua vita, che tutto sarebbe andato nel verso giusto.
Sapere poi che certe persone continuano a restarti accanto e ti sostengono dopo tanti anni di amicizia è incoraggiante, dà un senso di benessere e per un attimo ti fa scordare che forse avresti potuto essere migliore se avessi fatto le scelte giuste...
mercoledì 3 ottobre 2012
Capitolo 1 di "Principi azzurri a luci rosse"
Ecco
a voi il primo capitolo tratto dal mio nuovo libro "Principi azzurri a
luci rosse". Buona lettura!
CAPITOLO 1: UN MONDO
FALLOCENTRICO
Noi uomini siamo
fissati col sesso, è il nostro migliore amico. Ci accompagna durante gli anni
della crescita diventando come una droga, ci consola, ci fa sentire meglio e
finiamo col non poterne fare a meno. La natura sembra averlo scritto nel nostro
DNA.
Tutti in fondo
siamo un po’ sporcaccioni, ma molti di noi sanno nasconderlo meglio di altri.
Ci sono uomini che sanno quello che vogliono e come ottenerlo e altri che si
atteggiano a gran rimorchiatori anche se non hanno nulla da offrire; c’è chi si
vanta di esperienze sessuali inimmaginabili da mente umana, quando in realtà ha
mezzo baciato una sconosciuta durante il gioco della bottiglia e chi invece il
sesso lo fa, lo sa fare e anche bene.
A volte pare quasi
lo scopo della nostra vita e quando ci avviciniamo alla meta sembriamo
impazzire, il testosterone va a mille e noi uomini ci riduciamo a questo, ormoni
in confusione.
A quelli come me poi il sesso piace ancora di più.
Amiamo farlo in modo selvaggio, animalesco, dolce e a tratti violento, veloce oppure
lento, purché sia intenso. Niente questioni in sospeso o sensi di colpa.
Ci piace perché ci
fa sentire vivi, perché non ci dà da riflettere sul motivo della nostra
incessante ricerca di corpi nuovi da amare, soddisfare, percepire mediante il
solo sfioramento della pelle. A volte è un modo per sfuggire alla cruda realtà
che ci relega ai margini della società, una specie di premio di consolazione. E
trovare una sistemazione per il nostro affarino diventa quasi un’occupazione
principale.
D’altronde noi uomini
iniziamo ad affrontare la sessualità sin da piccoli. Passiamo circa il novanta
per cento della nostra vita adolescenziale a esplorarla e la ricerca non si
arresta mai. È un campo che portiamo in continua evoluzione e che abbraccia talvolta
ogni singolo aspetto della nostra giovinezza.
Capita poi di
essere talmente impazienti da voler a tutti i costi svuotare il proprio arnese
senza curarsi delle conseguenze. Il tutto pare debba essere fatto al più presto
possibile, quasi avessimo la data di scadenza stampata sull’uccello. E quando
dopo tanta ricerca troviamo una persona che potrebbe anche amarci, tendiamo a
considerarla più come l’occasione che si è venuta a presentare che come quella
giusta, quella che ci cambierà la vita. Così finiamo col fare errori a volte
irreparabili e perdiamo occasioni ben più rare di una semplice scopata.
Per cui, tirando le
somme, si può notare come il sesso diventi talvolta un’arma per proteggerci dai
sentimenti. Può essere tagliente, esplosivo, può ferirci, ma sa anche guarirci.
A pensarci è molto simile all’amore, solo che quest’ultimo è più difficile da
trovare. E conciliare le due cose non è sempre facile.
Da ragazzino mi
chiedevo se potesse esistere il sesso senza amore. Adesso ne sono convinto.
Esiste.
Troppe critiche? Affatto!
D’altronde sono un uomo anch’io e rientro nel bel quadretto che ho appena
descritto.
Mi chiamo Trent, ho
24 anni e di uomini ne conosco a bizzeffe. E quando dico “conosco” intendo
proprio in senso biblico.
Sono omosessuale,
di bell’aspetto e piuttosto giovane per il lavoro che ormai faccio da anni.
Molti mi definiscono col termine gigolò,
altri invece escort, accompagnatore, prostituto e tanti altri modi che non sto
qui a elencare. A me piace la definizione che mi diede una volta un cliente: “puttano
d’alta classe”. Ci si potrebbe chiedere cosa farà mai un prostituto per definirsi
“d’alta classe”? Bene, lo spiego subito.
Lavoro per un’agenzia
di escort strapagata, una delle migliori in effetti. Entrarci non è così
semplice e bisogna essere proprio bravi per poterne far parte.
Ho una lista di
clienti parecchio lunga, alcuni dei quali sono ormai degli habitué con cui vado a letto da anni, altri sono invece più
recenti: i nuovi arrivi li chiamo io,
perché come i vestiti di poco valore li indossi qualche volta e dopo li sostituisci
con qualcos’altro di nuovo. Di solito, infatti, questi si fanno una scopata e
poi spariscono.
C’è una grande
differenza tra i clienti abituali e i nuovi arrivi. Questi ultimi ti
contattano, ti pagano, ti scopano. Tutto qui. Gli abituali invece sono più premurosi.
Con loro instauri un rapporto speciale, ti viziano, ti coccolano, ti amano, ma
tu non ami loro e non glielo fai capire. Ti portano in vacanza con loro, ti
fanno partecipare a grandi feste senza mai farti passare per un semplice
prostituto, ma piuttosto come una sorta di compagno o al massimo un “nipote”.
Molti degli
abituali sono infatti uomini maturi, vanno dai cinquanta ai settant’anni, sono
ricchi, spesso potenti, con un lavoro eccellente, di rilievo e solitamente strapagato.
Sono uomini di successo, ma a volte completamente soli e di questo mi sono reso
conto nel corso degli anni. Non tutti sono affascinanti, ma ti vogliono bene e
te ne vorranno sempre se tu non tradirai la loro fiducia.
I nuovi arrivi non
hanno una fascia d’età prestabilita, possono andare da ragazzi che vogliono
perdere la verginità a uomini frustrati dal lavoro e dalla famiglia. Molti sono
infatti sposati, hanno figli, ma vogliono provare cose nuove (spesso sono tizi
nella fatidica crisi di mezza età), sfogando e realizzando talvolta le fantasie
più curiose. Altri lo fanno perché sono repressi sessuali. Questi clienti non
hanno la possibilità di vivere la propria omosessualità in pubblico o di avere
relazioni decenti anche nel privato, per cui passano al sesso facile.
Il servizio che
offro è pulito, spesso selvaggio, ma non violento, a meno che il cliente non lo
richieda. A riguardo ci sono delle clausole nel contratto che ci fanno firmare
prima di entrare alla Whore-Haus, il nostro quartier generale del sesso, e
questo perché a volte quando ci si lascia andare troppo può capitare di
esagerare un po’.
Durante la mia
carriera sono stati in molti a interessarsi a me e a volermi tirare fuori da
questa vita per farmi vivere da sogno. Ma io ho già tutto ciò che si può
desiderare, basta solo che lo chieda. Alcuni dei miei clienti mi fanno vivere
nel lusso sfrenato e nonostante io non abbia mai avuto grandi pretese, loro
cercano in tutti i modi di farmi stare nel totale agio. Sono stato in
tantissimi posti da quando ho iniziato e credo di essere uno dei pochi a poter
dire di aver visitato quasi tutte le magnifiche capitali del mondo. Ma non è
sempre stato tutto rose e fiori. All’inizio non era così. All’inizio non ebbi
scelta. All’inizio era uno schifo.
Iniziai a fare
sesso molto presto, ero ancora un ragazzino. Avevo sedici anni e mi ritrovai
con nulla per cui vivere o morire. Nessuno mi aiutò in quel periodo. L’unico su
cui potevo contare era me stesso.
Vivevo in una
famiglia in cui vi erano valori molto importanti. Valori che però per me non
erano mai stati nulla più che parole, senza mai essere messi in pratica. Mio
padre ci faceva vivere bene, lavorava in un’azienda importante e a casa era
presente poco e niente.
Mia madre è sempre
stata una donna forte e decisa. O almeno così appariva ai miei occhi. Era una
di quelle persone che hanno sempre la soluzione pronta a tutto e solitamente
risolveva i problemi in quattro e quattr’otto. Alcuni forse con troppa fretta.
E nonostante non andassimo molto d’accordo a volte mi capita di pensare a lei.
Riusciva a
provvedere a noi per non farci mancare nulla e a tirarci su di morale quando
stavamo male o eravamo tristi. Parlo al plurale perché eravamo in due, io e il
mio fratellino Michael di dieci anni più piccolo. E dico eravamo perché ormai
sono considerato morto per la mia famiglia.
Quando vivevo
ancora a casa con i miei non sopportavo Michael, era uno di quei bambini
piagnucolosi che si lamentano per ogni piccola stupidaggine. Adesso a volte mi
manca. Mi chiedo cosa gli abbiano raccontato mamma e papà di me.
Avevo una piccola
famiglia molto unita, ma mi sentivo sempre solo. Una cosa che mi ha sempre
fatto riflettere. Per questo motivo cercavo di trovare compagnia fuori dal
focolare familiare.
Ero un ragazzino
carino, ma dal viso troppo da bimbo per la mia età e per questo non piacevo
molto alle ragazze. Loro volevano i fighi, quelli che sembrano già uomini. Ma
ciò non voleva dire che non piacessi a nessuno. C’era anche chi apprezzava le
mie fattezze da bimbetto indifeso. Alcuni hanno la fissa per questi tipi di
ragazzi e quando vengono a sapere che sei pure vergine allora si attizzano di
più, la cosa si fa interessante due volte per loro.
Non avrei mai
sospettato che questo potesse accadere anche a me. Le attenzioni da parte sua
furono sottili e impercettibili per me. Non ci eravamo mai presentati e io lo
conoscevo solo perché veniva a scuola da noi a trovare il cugino, che era mio amico
e compagno di banco. Durante la pausa di tanto in tanto si fermava a parlare
con lui in cortile e una volta che c’ero anch’io mi fece un buffetto sul mento
poco prima di andarsene, senza alcuna motivazione. Non sapevo nulla di lui,
solo che era più grande di noi.
Da quella volta
prima che lo rivedessi passarono un paio di mesi. A quei tempi ero ancora un
po’ ingenuo e non mi accorgevo di cosa stesse accadendo intorno a me. Quel
ragazzo per me non era nessuno, solo uno che avevo visto un paio di volte in
giro, lui invece mi cercava, chiedeva di me, prendeva informazioni. Mi stava
studiando di nascosto senza che io ne avessi il minimo sospetto.
Una sera fui
invitato alla festa di compleanno di Pete, il mio compagno di banco. Quell’anno
in molti stavano compiendo i loro diciotto anni, compreso Pete, che si trovava
in classe con me per essere stato bocciato l’anno precedente.
La festa venne
organizzata di sera, in una grande casa di campagna fuori città con un
magnifico giardino curato tutto intorno. Le distese di verde sembravano
infinite. Erano un po’ tutte così le case fuori città delle famiglie più agiate.
Quando arrivai la
festa era già parecchio animata, si teneva un po’ dentro casa e un po’ nel
retro, dove tenevano il barbecue. Molti ragazzi ballavano al centro del grande
salone della casa, altri erano nel retro ad aspettare che la loro razione di
cibo arrostito fosse pronta. E visto che alla festa conoscevo pochissima gente
e con quasi nessuno avevo confidenza, mi fermai accanto a Pete, che cuoceva gli
hamburger sulla griglia.
A un certo punto mi
suggerì di andare a prendere qualcosa da bere, aggiungendo che potevo anche
bere alcolici perché nessuno ci stava controllando. Così
entrai nel salone e mi diressi in cucina verso il frigorifero, lo aprii e ne
tirai fuori una bottiglia di birra. Stavo per chiudere quando lui, il cugino di Pete, vi si appoggiò
con la mano.
«Ne prenderesti una
anche per me?» chiese gentilmente.
«Certo.» risposi
porgendogliene una.
«Grazie.» la stappò
in un secondo con il bordo dell’accendino incastrato nel palmo. Neanche mi
accorsi di come fece tanto fu veloce.
«Credo che io avrò
bisogno di un tiratappi per questa.» dissi troppo impacciato per chiedergli
esplicitamente di fare lo stesso con la mia.
«Da’ a me.» disse
stappandola in un secondo come la sua.
«Beh, grazie.» e
feci cin con la sua bottiglia. «Ora credo sia meglio che raggiunga gli altri.» dissi
con un cenno senza indicare nessuno in particolare. «Grazie ancora.» Mi
dileguai, ma non finì lì.
A un certo punto
della serata un gruppetto si era messo in cerchio a raccontarsi aneddoti
divertenti riguardo la scuola. Io mi aggiunsi al cerchio. Lui era poco distante
da noi, seduto su un divano che beveva una seconda o forse una terza birra.
Non mi tolse gli
occhi di dosso neanche per un secondo. Sembrava volesse qualcosa, ma non
riuscivo a capire cosa. Pensai se la fosse presa per essermene andato poco
prima.
Il fatto di essere
osservato così insistentemente mi dava fastidio. Decisi quindi di allontanarmi
dal gruppo e da quello sguardo indagatore per uscire fuori a prendere un po’
d’aria. Mi seguì. Dopo qualche passo sbottai voltandomi verso di lui.
«Si può sapere cosa
vuoi?» chiesi irritato. Mi guardò stupefatto. Probabilmente non si aspettava quella
reazione.
«Solo fare due
chiacchiere.» lo guardai confuso. «Non conosco nessuno alla festa a parte mio
cugino. E lui è il festeggiato, sempre circondato dagli amici. Non posso
stargli attaccato per tutta la sera.»
«Se non conosci
nessuno perché sei venuto? Non eri mica costretto.» mi resi conto di essere
risultato un po’ sgradevole, ma volevo solo che la smettesse di starmi incollato.
«Non sei un tipo
molto socievole, eh? Magari ti sembrerà stupido ma... ecco... sono venuto qui
per te.» La mia espressione di incredulità doveva essere stata più eloquente di
quanto pensassi, perché scoppiò a ridere.
«Me?» Annuì. «Non
capisco.»
«Ti va di fare una
passeggiata?» chiese. Scossi la testa. «Dai, non farti pregare.»
Lo guardai
incuriosito, poi sbuffai. «D’accordo...» mi convinsi infine.
La situazione era
piuttosto bizzarra. Non capivo il motivo per cui fosse venuto alla festa per
me. Cosa aveva da dirmi? Lo seguii attraverso il giardino. Camminavamo vicini,
ma lui non sembrava voler parlare e finimmo pian piano con l’allontanarci dagli
altri. All’improvviso prese a parlare.
«È da tempo che ti
osservo.»
«L’ho notato.»
«Davvero? Pensavo
di essere stato più discreto.» Arrossì.
«È tutta la sera
che mi guardi. Sinceramente non capisco cosa vuoi da me. Ti ricordo per caso
qualcuno?»
«Qualcosa del
genere...» rispose misterioso.
Non soppesai molto
le sue parole in quel momento, ma nascondevano molto di più. Non gli chiesi
nemmeno chi o il perché gli ricordassi qualcuno. Non mi importava a dire il
vero. Volevo solo tornare alla festa. Cominciava a fare freddo e stare lì fuori
non era poi così piacevole.
Ci fermammo nei
pressi di una quercia e a quel punto lui appoggiò una mano a essa. Mi guardava
in modo strano e di tanto in tanto sorseggiava la sua birra.
«Posso sapere che
stiamo facendo qui? Perché non torniamo alla festa?»
«Non ti piace qui?»
Incrociai le braccia per scaldarmi e scossi la testa.
«Fa freddo.» dissi
stringendomi nel mio maglione.
«Beh, per questo
non c’è alcun problema...» disse fascinoso. Lo guardai senza capire,
stringendomi nel maglioncino verde mare. «Sai, mi attrai.»
«Cosa? Perché?»
chiesi ingenuamente, non capendo che stava già succedendo, senza che lo
sospettassi nemmeno. Si mise a ridere in risposta alla mia domanda.
«Perché è così, non
so darti una motivazione.» Si avvicinò a me e mi spinse lentamente contro la
quercia. «Tu mi piaci.» sussurrò e a quel punto mi baciò.
Spalancai gli occhi,
non riuscivo a credere a ciò che stava succedendo. Lo respinsi con violenza e
mi pulii la bocca. La cosa mi disgustò.
«Che diavolo stai
facendo? Ti è forse saltato di volta il cervello?» Lui mi guardò stravolto e
preso dalla vergogna si voltò di lato.
Non capivo perché
lo avesse fatto. Io non ero attratto da lui, non lo ero mai stato di nessuno.
Non mi interessava. A quei tempi non ci pensavo molto, vivevo tranquillamente
la mia vita senza coinvolgimenti sentimentali.
«Scusami.» disse
lui. «Pensavo che... ecco...» scosse la testa fra sé. «Non importa.»
«Importa eccome! Tu
mi hai baciato. Perché? Perché lo hai fatto?» chiesi ancora scioccato e rosso
in viso.
«Te l’ho detto. Mi
piaci.»
«Ma io.. io sono un
ragazzo!»
«E sei così bello.»
Quella frase pronunciata con un velo di malinconia e dolcezza mi spiazzò,
lasciandomi totalmente senza parole. Nessuno mi aveva mai detto una cosa del
genere.
«I-io?»
Annuì e mi tenne il
mento tra le dita. «Se solo sapessi quanto ti desidero...»
Mi resi conto di stare
guardando dritto nei suoi occhi. Il mio sguardo si spostò altrove imbarazzato,
ma lui non si arrese. Anche se quel gesto avrebbe dovuto fargli capire il mio
disinteresse, lui continuò a guardarmi. Potevo sentire i suoi occhi fissi su di
me. Provò a baciarmi di nuovo, ma questa volta non mi ritrassi, lo lasciai
fare.
Non so nemmeno io
il motivo per cui lo feci. Forse il fatto di non essere mai piaciuto a nessuno,
di non essere mai stato baciato in quel momento mi fece sentire speciale.
Sta di fatto che quel
bacio cambiò per sempre la mia vita. Da quel momento nulla fu più uguale. Tutto
ciò che mi circondava cambiò radicalmente forma e colore. Osservai il mondo da
prospettive che non avevo mai tenuto in considerazione.
Si staccò da me
lentamente e riaprì gli occhi. I miei erano rimasti aperti per tutto il tempo e
lui se ne rese conto.
«Sei totalmente
negato.» disse con un po’ di arroganza. La cosa mi lasciò lì per lì ferito
nell’orgoglio e provai una profonda vergogna. Era la prima volta che baciavo
qualcuno, un ragazzo poi!
Cercai di dire
qualcosa sentendomi terribilmente in imbarazzo e tutto ciò che ne uscì fu un
farfugliamento confuso.
«Non preoccuparti.»
mi rassicurò lui. «Ti insegnerò io.» ammiccò.
Insegnarmi? In quel
momento il concetto mi sembrò irrilevante e del tutto inadeguato. Avevo appena
baciato un ragazzo e la cosa mi aveva lasciato senza parole e del tutto
impreparato a quello che sarebbe successo dopo.
Cosa significava
che mi avrebbe insegnato? Ci saremmo rivisti dopo quello che era successo?
La mia testa si
affollò di domande, pensieri e tanto altro che sembrava scoppiare. Non riuscivo
a connettere con la realtà, ero ancora immerso in quella situazione, in quel
bacio. Mi era piaciuto? No. Eppure non capivo perché stavo ancora lì davanti a
lui invece di andarmene arrabbiato. E soprattutto mi chiedevo perché lo avessi
lasciato baciarmi una seconda volta.
Mi guardò divertito
notando la mia espressione da ebete. La cosa mi fece innervosire, ma non dissi
nulla. Si scostò da me e andò via.
«Ci rivediamo ok?»
disse voltandosi per farmi un occhiolino.
«Aspetta! Non ci
siamo nemmeno presentati!» gli urlai da lontano. «Io sono Trent.»
Si voltò e sorrise.
«Lo so. Io sono Spence.» bevve un sorso e tornò alla festa. Restai ancora lì
appoggiato alla quercia e ci rimasi per un bel po’. Quando tornai alla festa
lui non c’era più. Era scomparso.
©
Fab Draka 2012
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