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IL PRIMO
INCONTRO
«Sei pronto?»
chiamò Cesare dall'altra stanza.
«Sì» rispose
Manolo dandosi un'ultima sistemata al ciuffo ingellato.
Presero le
chiavi dell'auto e si avviarono verso la scalinata Alessi. Il primo incontro
con i futuri giocatori della squadra era stato stabilito per le undici di sera
al Nievski, il pub che si trovava proprio sotto le scale.
Cesare era
emozionato, lo si vedeva da come guidava. Anche Manolo lo era, ma per motivi
diversi.
Quando
arrivarono al pub si guardarono attorno, nella speranza di trovare i ragazzi in
questione. Si erano dati appuntamento dentro il locale. Non sembrava però
essere arrivato ancora nessuno.
«Sei sicuro che
abbiano dato conferma?» chiese Manolo. «Joder!
Odio aspettare la gente.»
Cesare roteò gli
occhi. «Detto da te che ci stai tre ore a prepararti...»
«Mi piace essere
perfetto.»
«Ma lo sei»
disse schioccandogli un rapido bacio sulle labbra.
Presero posto al
bancone del pub e ordinarono due cervezas.
Alessandro cercò
di far partire l'auto, ma proprio non voleva saperne. "Proprio stasera si
doveva scassare 'sto catorcio!" pensò colpendo il manubrio con una manata.
"Antonio ci tiene ad arrivare puntuale" si disse scoraggiato. Prese
il cellulare e lo chiamò.
«Ma dove sei? È
da mezzora che ti aspetto!»
«Lo so,
indovina?»
«No, non me lo
dire! La vecchia ha fatto cilecca. Porca miseria! Proprio adesso! E come se non
bastasse la nostra auto l'ha presa Lucia per uscire con le sue amiche. E ora
che facciamo?»
«Io posso andare
a piedi ma tu? Pensi di riuscire a prendere un urbano? Oppure un taxi?»
Ad Antonio
fuoriuscì una risata secca. «Seee! Vengo con la limousine quasi quasi.»
Sospirò. «D'accordo, vedo se riesco a trovare un bus. Tu puoi aspettarmi alla
fermata di Piazza Borsellino? Così andiamo assieme.»
«Certo, ti
aspetto lì.»
Il cinquantino
sfrecciava per Viale Rapisardi a tutta velocità. Su di esso Fabrizio aveva
un'apparenza un po' goffa, un ragazzo muscoloso e dall'aspetto imponente come
lui faceva una strana impressione su un mezzo di quel tipo.
Il cuore gli
batteva forte. Sentiva che quella avrebbe potuto essere la sua ultima occasione
per giocare in una squadra. La scoperta che fosse stata organizzata
dall'Arcigay fu all'inizio una vera e propria sorpresa, ma non si lasciò
demoralizzare. Era disperato e non voleva lasciarsi sfuggire quell'opportunità.
Per cui sarebbe andato all'incontro e se poi si fosse sentito troppo a disagio
allora avrebbe lasciato perdere. Non voleva risultare omofobo o intollerante,
ma il fatto di essere preso per gay non gli andava molto a genio.
Stava facendo un
tentativo per il proprio futuro e se fosse stato necessario avrebbe finto, sì,
se non lo avessero accettato in squadra solo perché era eterosessuale non se lo
sarebbe perdonato. Era disposto a tutto pur di rimettersi in gioco.
Manolo aveva
appena terminato la propria birra, annoiato e stanco di aspettare disse a
Cesare che andava in bagno. Mentre saliva la scalinata che portava alla
toilette incrociò la sua strada un ragazzo alto e di bell'aspetto. Aveva una
folta barba e i capelli tagliati alla moda. Manolo lo fissò insistentemente e
questi gli rivolse uno sguardo malizioso. Dopo essersi incrociati si voltarono
entrambi per squadrarsi una nuova volta. Manolo delineò un sorriso sulle labbra
carnose e continuò a salire le scale. Il ragazzo si fermò un momento, poi lo
seguì.
L'urbano si
fermò a Piazza Borsellino. Antonio scese guardandosi a destra e a manca in
cerca dell'amico. Vide Alessandro seduto su una panca intento a leggere dei
messaggi al cellulare.
«Ehi» gli disse
avvicinandosi. Alessandro alzò lo sguardo e parve illuminarsi al solo vederlo.
«Scusa se ti ho
fatto aspettare tanto, ma lo sai come va ogni volta con questi bus. Ne passa
uno ogni morto di papa.»
Alessandro
sorrise e fece segnò che non importava. In fin dei conti era in parte anche
colpa sua, se i suoi genitori gli avessero comprato un'auto nuova tutto ciò non
sarebbe successo. Si era accontentato di quel catorcio per avere un mezzo con
cui spostarsi senza dover necessariamente dipendere da loro o da Antonio, ma
alla fine non era servito a niente.
Di fretta si
misero per strada, avevano già quasi un'ora di ritardo.
«Prendiamo di
qua, è una scorciatoia. Faremo prima» propose Antonio.
Alessandro annuì
e lo rincorse.
Cesare tamburellava
le dita sul bancone del bar. Guardò l'orologio, era già mezzanotte meno un
quarto. Si domandò se non gli avessero volutamente dato buca. Magari qualcuno
era passato, aveva visto solo lui e se n'era andato pensando che non fosse una
cosa seria. L'attesa lo snervava. Decise di prendere un'altra birra. Mentre il
barman gliela serviva ebbe modo di pensare alle parole da usare quando e se si
fossero presentati i ragazzi. Voleva risultare professionale, seppure il
progetto fosse ancora meramente amatoriale.
Sperava non
fossero un mucchio di incapaci, o peggio qualcuno troppo convinto. Con i
bambini era più facile avere a che fare. Stimavano la sua autorità, sapeva come
coinvolgerli per far sì che lo prendessero sul serio, ma con persone adulte era
una cosa nuova e non era detto che le cose andassero come immaginava. Incrociò
le dita e poi prese un sorso di birra.
Fabrizio
parcheggiò il motorino in fondo alle scalinate. Ripose il casco nel vano sotto
il sedile e si diede una veloce occhiata allo specchietto. Si vide teso e lo
era. Prese un profondo respiro e salì velocemente le scale. Oltrepassò i
tavolini posizionati fuori dove la gente stava cenando ed entrò nel pub. Subito
gli fece una strana impressione. Non era mai stato in quel posto e se lo immaginava
diverso vista la clientela che di solito lo frequentava. Lo trovò accogliente,
di casa. Sparse un po' ovunque immagini satiriche e simbolismi comunisti. C'era
un ritratto di Lenin appeso a un muro e un po' ovunque utensili da cucina erano
stati utilizzati per costruire lampade, corrimano e cose del genere. Lo trovò
parecchio originale.
Guardandosi
attorno cercò un gruppetto che potesse sembrare una squadra di calcio, ma vide
poca gente. Al bancone una ragazza vestita in modo provocante stava discutendo
animatamente con un uomo parecchio più grande e rideva sguaiata. C'era un tizio
che beveva una birra tutto solo e un gruppetto di uomini - tre - che ridevano e
scherzavano tra loro. "Eccoli" pensò e prendendosi di coraggio si
avviò verso di loro.
Manolo uscì dal
bagno e si trovò davanti il ragazzo che poco prima aveva incrociato sulle
scale. Sussultò e si portò una mano al petto.
«Joder! Mi hai fatto venire un colpo!»
Il ragazzo in
risposta sorrise.
«Ti dispiace?»
gli chiese facendogli segno di spostarsi dal lavandino. Il ragazzo si scostò e
lo lasciò lavarsi le mani. Manolo lo osservò dallo specchio e il ragazzo lo
fissò a sua volta. Quando si voltò asciugando le mani su un pezzo di carta
piegò leggermente la testa di lato. «Ci conosciamo?»
«No, ma ti ho
visto spesso in giro. Solo che tu non mi hai mai notato. Io sono Davide» disse
porgendogli la mano.
«Manolo.»
«Manolo. Non è
un nome straniero? Spagnolo, vero? Si sente dall'accento.»
«Sei perspicace
oltre che carino.»
Il ragazzo gli
mostrò un sorriso smagliante e Manolo ne fu in qualche modo rapito. Non aveva
mai visto un sorriso bello come quello. Lo guardò dritto negli occhi e si
sporse leggermente in avanti per congedarsi da lui e tornare al piano di sotto.
Ma Davide lo prese come un segnale e si avvicinò a sua volta, quindi lo baciò.
«Dai corri,
siamo in ritardissimo!» esclamò Antonio guardandosi indietro. Alessandro lo
seguiva sfiancato. Si fermò tenendosi sulle ginocchia e prese ampi respiri.
«Tu mi farai morire,
lo so.»
«Suvvia! Se ti
stanchi per questa corsetta come farai durante gli allenamenti?»
Alessandro
annuì. «Forse non è stata una buona idea iscrivermi.»
Antonio lo prese
per il risvolto del giubbotto e lo trascinò.
«Hai solo messo
su un po' di ciccetta natalizia. La smaltiremo facendo corsa. Ti rimetto in
sesto in quattro e quattr'otto.»
«Tu hai decisamente voglia di uccidermi» rispose
Alessandro ansimando.
Ripresero a
correre e svoltando l'angolo si trovarono davanti un tipo dall'aria poco
rassicurante.
«Ciao» disse
Fabrizio al gruppo. Sembrava impacciato e non era da lui.
I tre uomini lo
guardarono e squadrarono da testa a piedi. Uno di loro, poggiandogli la mano
sulla spalla, lo fissò con lascivia e gli disse: «Ma ciao!»
«Io sono
Fabrizio, voi siete...» Non riusciva a trovare le parole per esprimersi. Non
era decisamente il tipo di situazione in cui si sentiva a suo agio.
«Siamo qui per
te, bel ragazzone» rispose l'uomo, un tipo impostato, coi capelli brizzolati e
una barbetta incolta, anch'essa brizzolata.
«Ok» fu tutto
ciò che riuscì a rispondere Fabrizio. «Quindi che si fa?»
«Non lo so,
caro. A te cosa va di fare?»
«Ne parliamo un
po'? Per capire meglio la cosa e organizzarci.»
«Sei un tipo che
la tira per le lunghe. Va bene. Di che vuoi parlare?» chiese con tono
fascinoso.
«Non so, le
esperienze passate sul campo magari. Voi ne avete?»
Gli uomini
scoppiarono a ridere.
«Puoi dirlo
forte, ragazzo» rispose un altro del gruppo, un tipo con degli occhiali molto
sottili e due occhi di un azzurro impressionante. Anche lui sembrava avere la
stessa età degli altri, erano più o meno tutti e tre sulla quarantina.
«Ah perfetto.
Così sarà più facile per tutti» disse Fabrizio, anche se rassicurato solo di
poco. Il brizzolato continuava ad accarezzargli la spalla con la sua mano
robusta e la cosa cominciava a infastidirlo.
«Per tutti?»
chiese il terzo uomo. «Questo qui sì che parla come si deve! Insieme sarà più
bello, certo» disse poi con malizia rivolgendosi direttamente a lui.
Fabrizio corrugò
la fronte, ma non diede peso alle sue parole.
«Ci prendiamo
una birra? ...Per scioglierci un po'» propose. I tre annuirono soddisfatti e
ordinarono da bere.
I due ragazzi
fermarono improvvisamente la propria corsa. Fecero per oltrepassare l'uomo, ma
questi bloccò loro la strada.
«Siamo di
fretta, potresti farci passare per piacere?» chiese Antonio.
«Mi date
qualcosa? Per mio figlio.» Rovistò nelle tasche e ne uscì una fotografia logora
e vecchissima.
«Cavolo, deve
avere più anni di te "tuo figlio"» replicò scettico Antonio.
L'uomo non colse
la provocazione e insistette, ma i due ragazzi rimasero immobili. Quindi l'uomo
si inferocì.
«Nisciti i
sordi!» esclamò.
Alessandro
sgranò gli occhi e Antonio parve non aver capito bene.
«Aspetta un
attimo, ci stai rapinando?» chiese incredulo.
«Liestu, nesci i
sordi o ti 'mazzu!» insistette tirando fuori di tasca un coltellino.
Alessandro
impaurito fece per tirare fuori il portafogli, ma Antonio lo fermò.
«Ci mancava sulu
chistu stasira» disse digrignando i denti. «Leviti ri menzu.»
L'uomo si
preparò a sferrare il colpo, ma Alessandro tirò a sé Antonio e poi lo spinse a
muro. Il rapinatore si avventò contro di lui e finirono per terra. Alessandro
lo trattenne prima che potesse accoltellarlo e gli sferrò un calcio in mezzo
alle gambe. L'uomo si accasciò di lato dolorante, Antonio aiutò l'amico a
rialzarsi da terra e prendendolo per mano si misero a correre a perdifiato
lungo quel corridoio stretto che era diventata la strada.
Mentre la lingua
di Davide si faceva spazio nella bocca di Manolo, a quest'ultimo come in un
flashback tornarono in mente tanti momenti del passato che pensava di avere
ormai dimenticato. I ricordi vennero a galla con tale prepotenza che gli fecero
quasi male. Era la prima volta che tradiva Cesare, non si era mai spinto tanto
oltre. Da cinque anni erano una coppia modello, ammirata da tutti per la
longevità del loro rapporto e per l'affiatamento con cui conseguivano nel
portarlo avanti.
D'un tratto gli
vennero in mente tutte quelle nottate passate in chat a chiacchierare e poi
quella volta che Cesare gli aveva detto che sarebbe tornato a trovarlo in
Spagna. Alla fine era stato lui però a fargli una sorpresa e si era spinto fino
a Catania per una breve vacanza.
La città lo
aveva affascinato e gli erano piaciuti molto i ragazzi del posto, ma Cesare
sembrava avere altri piani. E quella che inizialmente era stata una semplice
amicizia online, si trasformò in quei giorni in una breve avventura amorosa.
Solo che al ritorno in Spagna Manolo sentì di aver lasciato una parte di sé in
Sicilia. Così tutto per la prima volta gli fu veramente chiaro e decise di andare
in Erasmus. Era l'unica scusa che poteva usare per tornare dal suo innamorato.
Al termine del
suo periodo d'Erasmus era stato costretto a tornare in Spagna. Era stato
difficile separarsi da Cesare, seppure questi gli avesse promesso di andare da
lui non appena si fosse liberato dal lavoro. Così Manolo era tornato a
malincuore alla sua vita di prima. Erano stati otto mesi insieme e temeva che
la loro relazione si riducesse a quel breve periodo d'amore. Ma pian piano
Madrid gli divenne sempre più stretta e si fece spazio in lui una decisione
drastica.
Lasciò
l'università e si trasferì definitivamente a Catania per vivere con Cesare.
Questi non aveva approvato la sua decisione, ma ormai era troppo tardi per
rimediare e comunque era felice di averlo di nuovo accanto.
Da allora erano
passati cinque anni ed erano stati anni felici, divertenti, spensierati. Ora
che ci pensava erano passati anche troppo in fretta, era stato tutto troppo
bello e ora? Quegli ultimi mesi erano stati noia? Sentiva di aver perso un po'
di quell'entusiasmo iniziale, ma non tanto da spingersi a un gesto del genere.
Scosso da quei
pensieri e preoccupato dalle conseguenze che potevano comportare le sue azioni
si staccò di colpo da quel bacio e si scusò col ragazzo, lasciandolo da solo in
bagno mentre lui riscendeva velocemente le scale.
Cesare si
domandò che fine avesse fatto Manolo. Erano quasi dieci minuti che era in
bagno. Mancavano cinque minuti a mezzanotte e ormai temeva di aver fatto un
buco nell'acqua. Non sarebbe venuto nessuno all'appuntamento. Ormai ne era
convinto.
Mentre
sorseggiava la sua birra sentì le chiacchiere di un gruppo di uomini seduti al
bancone poco distante da lui. Facevano discorsi palesemente sessuali senza
alcun ritegno, li guardò con sdegno e si voltò dall'altro lato. Non gli erano
mai piaciute le persone così esplicite.
Ad attirare la
sua attenzione fu però una frase del più giovane tra loro.
«Quando si
comincerà a giocare?»
I tre uomini lo
accarezzavano in modo fin troppo esagerato e il ragazzo sembrava palesemente a
disagio, ma non fiatava e subiva cercando di sviare il discorso altrove - o
almeno così parve a lui.
«Possiamo giocare
anche fra poco se ti va. Il tempo di bere i nostri cocktail» rispose tra gli
uomini quello che aveva barba e capelli brizzolati.
«A quest'ora di
notte? E dove? Non sono chiusi i campi?»
I tre lo
guardarono straniti e a quel punto Cesare intervenne alzandosi e prendendo per
le spalle il più giovane dei quattro.
«Ehi ciao!»
esclamò. «Eccoti arrivato! Devi essere Fabrizio, il giocatore professionista.»
Questi parve
sollevato nel riuscire a tirarsi fuori da quella situazione che si era fatta
sempre più inquietante.
«Vieni vieni, ti
aspettavamo!» continuò Cesare tirandolo verso di sé. «Scusate ragazzi se ve lo
rubo, ma abbiamo cose importanti di cui parlare.»
«Eh, ma
c'eravamo prima noi» borbottò quello dei tre che portava gli occhiali sottili.
Proprio in quel
momento Manolo spuntò e fece per avvicinarsi a loro.
«Mi spiace, deve
esserci stato un malinteso» si scusò Cesare. «Ecco, io sono l'organizzatore
della squadra e ne sarò probabilmente anche l'allenatore.»
Fabrizio
finalmente parve capire il grosso malinteso in cui era incappato e ripensandoci
gli salì un brivido su per la schiena.
«Lui è Manolo,
il mio boyfriend. Anche lui giocherà in squadra.»
Manolo gli
strinse distrattamente la mano. Era ancora troppo preso da quanto era accaduto
prima.
«Quindi al
momento siamo solo in due a giocare?» chiese Fabrizio.
«Beh, c'erano
altri tre iscritti a dire il vero, ma non sono ancora arrivati. Se sarà
necessario mi metterò anch'io in campo» lo rassicurò.
Fabrizio annuì,
ma non era ancora molto convinto della cosa.
Antonio e
Alessandro arrivarono alle scale sudati e stremati. Non avevano mai corso tanto
in vita loro. Alessandro si teneva il fianco e sembrava sul punto di
stramazzare per terra da un momento all'altro. Aveva la faccia e le orecchie
rosse e ciò fece ridere Antonio di gusto.
«Te... te la
ridi.. te la ridi, eh?» fece ansimando e prendendo grande boccate d'aria. «Ti...
ti faccio... ridere io. Tu e le tue scorciatoie del cavolo!»
Antonio si
avvicinò a lui e gli poggiò una mano sulla schiena.
«Ci hai salvato
entrambi stasera, sei stato un vero eroe.» Gli schioccò un bacio sulla guancia
e Alessandro parve riprendersi tutto d'un tratto.
«Figurati...»
rispose imbarazzato grattandosi dietro la testa. «Sono stato preso dal panico e
ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque... credo.»
Antonio lo prese
a braccetto e insieme salirono le scalinate per dirigersi al Nievski.
Quando entrarono
si guardarono attorno e videro della gente al bancone. Tre erano troppo grandi
per essere calciatori - e i loro fisici lo dimostravano -, altri tre invece
erano in forma e più giovani degli altri.
«Saranno loro?»
si domandò Alessandro. L'amico si strinse nelle spalle e fecero per
raggiungerli. Proprio in quel momento Alessandro si fermò nel vedere un ragazzo
spuntare all'improvviso dal cortiletto interno che portava ai bagni. «Davide?
...Davide!» lo chiamò agitando la mano.
Il ragazzo si
voltò verso di lui e sorridendo gli andò incontro.
«Quanto tempo!
Che ci fai qui? Oh, scusami. Lui è Antonio, un mio amico.»
«Piacere» fece
questi stringendogli la mano.
«Davide è un mio
collega d'università. Abbiamo seguito le lezioni di storia il primo anno e
poi... beh ci siamo persi di vista. Che fine hai fatto?»
«Mi sono messo
sotto con lo studio» rispose sfoggiando il suo sorriso smagliante.
«Beato te, io
sono un pigrone. Ancora ho dato pochissime materie» si imbronciò e Antonio lo
sbeffeggiò facendosi una risata.
«Se vuoi qualche
volta possiamo studiare assieme, magari ti presto i miei appunti.»
«Ti ringrazio!»
esclamò sorpreso Alessandro. «Sei con i tuoi amici?»
Davide scosse la
testa. «In realtà ero qui per un appuntamento con un gruppo di calciatori.»
Alessandro e
Antonio sgranarono gli occhi e in coro risposero: «Anche noi!»
«Davvero? Forte!
Non immaginavo che tu...»
Alessandro
sorrise.
«Beh, a dire il
vero neanch'io lo pensavo di te.»
«Ci siamo solo
noi? Ho aspettato un sacco, pensavo non venisse più nessuno» fece Davide
guardandosi attorno.
«In realtà
abbiamo avuto un piccolo imprevisto, dopo ti racconto» spiegò Alessandro.
Tutti e tre
insieme si diressero verso Cesare e gli altri e chiesero se fossero loro gli
altri calciatori della squadra gay. Manolo impallidì nel vedere il ragazzo che
aveva baciato solo due minuti prima stare adesso in mezzo a loro. E si rese
conto di aver commesso l'errore più grande della sua vita.
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