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QUESTIONE DI SGUARDI
I ragazzi si disposero in fila sul limite del campetto di
calcio. Il gruppo che si trovò davanti Cesare appariva adesso ancora più
eterogeneo. Ognuno di loro aveva esperienze diverse in campo, ma ciò che lo
aveva colpito quel pomeriggio era il vedere ognuno con una tuta diversa. Chi
nera e corta coi calzini bene in vista a mo' di calciatore, chi lunga e blu, i
restanti indossavano semplicemente maglietta bianca e pantaloncini. La
differenza d'altezza tra giocatori acuiva poi quello strano effetto ottico. Non
era più abituato, i pulcini avevano la loro divisa, e quello spettacolo era un
po' spiazzante, ma decise di concentrarsi sui fatti. Ci sarebbe stato tempo per
organizzare la squadra con una maglia comune. Solo uno di loro indossava il
completo da calcio, Fabrizio, l'unico che avesse giocato tra i professionisti.
Fu nel vederlo in quelle vesti che Cesare - non informato sulla verità degli
eventi - si chiese quanto quel ragazzo avesse sofferto nel ritrovarsi troppo
grande per continuare a giocare in una squadra professionale. Per lui questo
non costituiva un problema, chiunque era ben accetto in squadra, l'età aveva
poco conto se c'era il talento e la voglia di mettersi in gioco.
«Bene ragazzi, oggi cominceremo questo percorso assieme.
Alcuni di voi non hanno molta esperienza in questo sport, ma non preoccupatevi,
saprò aiutarvi a sviluppare le vostre capacità e sfruttarle al massimo per
rendere questa squadra degna di essere chiamata tale.»
Cesare passeggiava avanti e indietro davanti a loro.
Sembrava una di quelle scene da camerate, come quando il sergente Hartman di Full Metal Jacket fece il discorso
iniziale alle reclute.
Sostò qualche istante davanti Davide e questi si irrigidì.
La notte del primo incontro della squadra si era reso conto di aver commesso un
grave errore nel baciare Manolo.
Seduti ai due lati opposti del bancone del Nievski, Davide e
Manolo si erano lanciati un'occhiata furtiva e rapido quest'ultimo aveva spostato
lo sguardo altrove. Era stato quel gesto a far intuire a Davide che c'era
qualcosa che non andava e capì di cosa si trattava quando Cesare lo presentò
come suo boyfriend. Davide aveva sorriso sotto i baffi - letteralmente -,
ritenendo di essersi cacciato in una situazione assurda. Adesso però non aveva
più tanta voglia di ridere, anzi si vergognava sempre più per il contesto
imbarazzante che si era venuto a creare. Non era uno sfascia-coppie - e Cesare
gli sembrava sempre più un bravo ragazzo -, eppure sentiva di aver innescato in
qualche modo una molla.
Ora ascoltava il loro allenatore mentre spiegava l'idea
della squadra e come avesse intenzione di svilupparla. Finché non avessero
avuto a disposizione un numero maggiore di giocatori avrebbero seguito lo
schema e le regole del calcio a cinque pur dovendo giocare fra di loro.
Inizialmente ci sarebbero stati gli allenamenti basilari e in seguito - quando
fossero stati pronti - Cesare avrebbe cercato, per quanto possibile, di trasmettere
al gruppo le linee guida nell'ambito tecnico-tattico tenendo in considerazione
le caratteristiche di ogni giocatore.
Vennero prima di tutto delineati i rispettivi compiti in
base alle esperienze maturate e secondo i ruoli precedentemente ricoperti. Così
fu stabilito che Antonio stesse di porta, Alessandro come difensore, Fabrizio e
Manolo attaccanti e Davide centrocampista. Cesare li avrebbe anche fatti
scambiare di tanto in tanto e se in seguito avesse notato particolari talenti
in differenti ruoli allora avrebbe usato schemi diversi e li avrebbe potenziati
in tal senso.
Mentre Cesare parlava loro di tutte queste cose, Davide si
sentiva mancare il respiro. Era lì, proprio di fronte a lui, a fissarlo dritto
negli occhi come se lo stesse mettendo alla prova, i suoi nervi prima o poi -
ne era certo - avrebbero ceduto e a quel punto sarebbe stato scoperto. Cercò di
non vacillare e di non lasciar trasparire insicurezza dal proprio sguardo.
Cesare proseguì la sua camminata e Davide chiudendo gli occhi tirò un sospiro
di sollievo.
«Non è un caso che tu sia stato scelto come difensore, eh?»
fece Antonio dando una leggera gomitata al fianco di Alessandro. «Difensore in
tutti i sensi, mio eroe» disse battendo le ciglia come un cartone animato.
«Ma smettila» replicò lusingato l'amico.
«A che si riferisce?» chiese Davide.
«Ha sventato una rapina la sera dell'incontro con Cesare»
rispose Antonio eccitato.
«Davvero?» fece Davide sorpreso.
«Ho solo messo k.o. un delinquente. Lo fa sembrare come se
fosse chissà che...» fece Alessandro arrossendo. «Chiunque si sarebbe
comportato come me in quella situazione.»
«No, non tutti rischierebbero la propria vita per difendere
qualcun altro. Sei un vero amico» rispose Antonio stringendosi al suo braccio.
Mentre iniziavano il riscaldamento con la coda dell'occhio
Davide si accorse che Manolo lo stava fissando da lontano. Pensò che era
incredibilmente indiscreto da parte sua. In quel modo non faceva altro che
peggiorare le cose, per cui decise di ignorarlo e comportarsi come se nulla
fosse accaduto.
Iniziarono una partita di prova. Lo scopo ovviamente era
segnare il più possibile. Vennero divisi in squadre da due, giocando come se formassero
un'intera squadra. Manolo avrebbe giocato con Davide e Fabrizio con Alessandro.
Non potendo fare altrimenti quello costituiva un allenamento arduo ed
estenuante sia per i ragazzi che per Cesare. Realizzò quanto fosse complicato
guidare una squadra con così pochi giocatori e si disse che avrebbe dovuto
trovare al più presto una soluzione anche a quel problema e scovare squadre amatoriali
per uno scontro. Sarebbe servito per stimolare maggiormente i ragazzi e
spingerli a incrementare le proprie potenzialità nel gioco vero e proprio.
La partita iniziò in modo parecchio precipitoso. Manolo
sembrava animato da una strana agitazione e seppure Fabrizio fosse più esperto
di lui in quanto a tecnica, riuscì a destabilizzarlo. Segnò più volte, anche
Antonio sembrava non riuscire a stargli dietro e prevedere le sue mosse. Non
esultava nemmeno, quasi ritenesse scontata la vittoria o non gli desse troppo
peso, o magari perché intendeva farsi notare senza però risultare uno sbruffone.
«Sei sicuro di voler fare il portiere?» esordì poi
sprezzante rivolgendosi ad Antonio. «Sei bassino.»
Antonio lo guardò torvo. «Anche Giovinco è basso, eppure lo
fanno giocare no?» replicò.
«Sì, ma lui non è portiere. Pensi di farcela a coprire la
porta?» Si mise a ridere, trascinando con sé i risolini degli altri compagni.
Antonio digrignò i denti e cercò di contenere la rabbia.
«L'importante è che abbia una buona presa» commentò quindi
Fabrizio, «Non conta l'altezza» aggiunse per tacere la provocazione di Manolo.
«Se riuscisse a prendere una palla forse» replicò questi sdegnato.
«Dagli almeno occasione di dimostrare il contrario» intervenne
quindi Cesare.
«Beh, sì» disse quindi Manolo con la coda tra le gambe,
«Stavo solo scherzando.»
Antonio gli rivolse un sorriso acido e Fabrizio diede una
pacca sulla spalla del compagno di squadra per rincuorarlo. Questi gli rivolse
un sorriso debole e poi tornò a fissare truce Manolo.
La partita riprese, ma non si videro netti miglioramenti in
Antonio. Pur non essendo un campione Manolo riusciva comunque a far sì che non
riuscisse a prendere la palla.
«Così è troppo facile!» sbottò a un certo punto. «Non ne
prende una. Non potevi trovarne uno meglio?» si rivolse a Cesare mettendolo in
difficoltà.
«Perché non vieni tu qui se sei più bravo?» replicò Antonio
risentito.
Cesare capì che si stava sconfinando in un terreno
pericoloso e cercò di placare gli animi.
«Ragazzi, calmatevi. È solo la prima partita che giochiamo,
ci stiamo ancora riscaldando.»
«Questo qui mi sa che ha preso proprio fuoco!» esclamò acido
Antonio.
A Davide scappò una risatina. Manolo avvampò dalla vergogna
e con una pallonata mandò al tappeto Antonio che colpito dritto allo stomaco si
accasciò per terra dolorante.
I ragazzi accorsero subito ad aiutarlo.
«Stai bene?» chiese Alessandro preoccupato. Antonio tossì e
poi annuì.
«Manolo, ma che diavolo ti prende?!» gli urlò contro Cesare.
Il ragazzo lo fissò senza rispondere, dal suo volto
traspariva una rabbia che non gli aveva mai visto prima.
«Sei una carogna» gli disse Antonio.
«Si può sapere cosa c'è che non va con te?» gli chiese
Fabrizio minaccioso. «Non hai cinque anni, cresci.»
Davide lo fissava incredulo. Manolo stizzito se ne andò via
dal campo. Cesare lo seguì fino agli spogliatoi, dove lo trattenne
stringendogli un braccio.
«Ma che hai?» gli chiese confuso. «È da una settimana che ti
comporti in modo strano. Stai bene? È successo qualcosa?»
Manolo non osò guardarlo negli occhi e Cesare sbuffò
grattandosi la testa.
«Io proprio non ti capisco. Come faccio ad aiutarti se non
mi parli? Ci sono problemi a lavoro? O hai ricevuto cattive notizie da Madrid?
Insomma, che ti prende?» sbottò infine innervosito dal suo silenzio. Manolo serrò
le labbra e incrociò le braccia.
Cesare si strinse nelle spalle e scosse la testa tra sé.
«Quando sarai pronto fammi un fischio» disse tornando al
campetto.
Manolo si coprì il volto con le mani, vi buttò fiato caldo e
riavviò i capelli all'indietro. Gli tornò in mente tutta la serata del bacio
come se si fosse stampata in modo indelebile nella sua memoria.
Ogni minuzia - dal risciacquo dei bicchieri sul lavandino
del bar ai vapori e odori provenienti dalla cucina poco più in là, dal chiacchiericcio
della gente in sottofondo alla porta che si apriva trascinando con sé una lieve
brezza proveniente da fuori - gli sembrava un elemento fondamentale di
quell'incontro che ormai gli pareva cruciale.
«Ragazzi ascoltate» aveva esordito Cesare interrompendo le
discussioni e levando in aria la propria birra, «Vorrei fare un brindisi al
nostro primo incontro.» Non avrebbe potuto usare parole involontariamente più
amare, anche la birra assunse per Manolo un sapore acre in quel momento.
Tutti alzarono i boccali e dopo un comune cin bevvero di
gusto.
«Mi piacerebbe anche programmare il primo allenamento per la
prossima settimana, se a voi sta bene» aveva aggiunto poi il futuro allenatore
con letizia. I ragazzi accettarono di comune accordo e la serata continuò tra
chiacchiere e fiumi di birra. Il pub si trasformò nel loro piccolo teatrino di
orgoglio calcistico.
«Come hai fatto a capire che ero io Fabrizio fra tutti
quanti?» chiese il ragazzo ingollando il terzo boccale di seguito - sembrava abituato
al nettare di Cerere, perché era l'unico ancora ad apparire totalmente sobrio.
Il rituale del padre lo aveva assuefatto a tal punto alla bionda spuma che
ormai era come se bevesse acqua.
«Beh, l'Arcigay mi aveva detto che avevi giocato come
professionista in passato e sei il più grande di tutti gli altri» ammise con un
po' di imbarazzo. «Non c'è voluto molto a capire che fossi tu.»
«Ok. Dunque io sono il vecchietto della squadra?» rise tra
sé il ragazzo e Cesare lo seguì a ruota.
«Siamo in due allora, amico.»
L'atmosfera si fece man mano sempre più rilassata e il
gruppo parve integrarsi bene. Cesare osservò i ragazzi ed ebbe la sensazione
che finalmente era sulla giusta strada. Notò anche che Manolo fissava Davide,
ma era un'abitudine che sembrava non essersi tolto dacché lo conosceva. Lo
infastidiva un po', ma si fidava di lui e dopo tutti quegli anni ormai non
aveva dubbi sulla sua fedeltà. Si accorse anche del calore con cui Alessandro e
Antonio si facevano spalla l'un l'altro e per un millesimo di secondo ebbe
quasi la sensazione che fossero una coppia, ma non volle indagare. Fabrizio si
trovò curiosamente a suo agio all'interno del gruppo. Era sempre stato un po'
diffidente nei confronti degli omosessuali, pur non avendo nulla in contrario.
Si rendeva però conto adesso che non poteva fare di tutta l'erba un fascio e
che in fin dei conti quelli sembravano proprio dei bravi ragazzi. Cesare, poi,
era stato molto accogliente ed era certo che lo avrebbe accettato senza
difficoltà come nuovo allenatore.
«Ho giocato negli esordienti» disse Davide tra una birra e
l'altra, «Ma mi sono ritirato dopo sei mesi perché ho avuto un incidente al
ginocchio.»
«E ora puoi giocare tranquillamente?» chiese Antonio che per
tutta la sera gli era rimasto attaccato, innescando un'inconscia punta di
gelosia in Manolo.
«Credo di sì, ogni tanto faccio delle partite con gli amici
e il problema non si è presentato più» rispose finendo di scolarsi il boccale.
Poi rivolse lo sguardo verso la destra di Cesare, lì sostava Manolo, nascosto
come un coniglio dentro una tana.
Davide sentiva di averlo messo in difficoltà baciandolo e si
rendeva adesso conto che la cosa avrebbe potuto comportare dei problemi più in
là se le carte fossero state scoperte. Era tuttavia altrettanto convinto che Manolo
non avrebbe parlato - e lui di certo non avrebbe aperto bocca a riguardo -,
perché gli era parso che anche lui ricambiasse quel bacio e quindi era
ugualmente colpevole. Si disse che ci avrebbe pensato solo al momento dovuto e
finché Manolo avesse mantenuto il segreto lui avrebbe fatto lo stesso.
Tornato a casa a serata finita aveva però un pensiero
costante in testa. Quegli sguardi lanciati come un amo e poi il bacio gli
avevano messo la pulce nell’orecchio. Così aveva cominciato a chiedersi se
davvero quella fosse una coppia felice, forse stavano assieme da poco o magari
da troppo e Manolo si era stufato.
Lui non era tipo da sfasciare una coppia e non si sarebbe
intromesso oltre. Ma se Manolo era infelice? L'avrebbe privato dal negarsi la
felicità?
Scosse la testa e si disse che era solo uno schifosissimo
egoista e che la verità era che Manolo gli piaceva e anche molto. Di rado aveva
incontrato ragazzi così belli. Era rimasto ammaliato dal suo fascino esotico.
Prima di addormentarsi si abbandonò ad alcune fantasie su di lui e sognò con un
sorriso deliziato stampato sul volto.
Quando Manolo e Cesare tornarono nell'appartamento che
avevano affittato assieme, il primo andò subito a chiudersi in bagno e l'altro
si gettò esausto sul letto. Si sentiva soddisfatto della serata e del gruppetto
che si era creato. Era convinto che potesse nascerne non solo una bella
squadra, ma anche una comitiva di amici. L'idea lo entusiasmava.
Era vero quello che ormai da tempo gli si palesava in mente.
Non gli bastava più allenare pulcini, voleva avere a che fare con una squadra
vera. La cosa poteva prendere piede più velocemente di quanto pensava se i
ragazzi si fossero dimostrati validi.
Fino ad allora per gli allenamenti con i piccoli era stato
abituato a creare percorsi per le esercitazioni usando coni colorati,
organizzando mini partite in cui i bambini dovevano effettuare dei passaggi
tenendo a mente alcune piccole regole, come per esempio non passare la palla a
chi l'aveva appena passata o non indugiare nel trattenerla per più di qualche
secondo. Organizzare una seduta di allenamento con degli adulti prevedeva tutta
un'altra programmazione. Se avesse proposto gli stessi esercizi gli avrebbero
riso in faccia e lui avrebbe perso l'aspetto professionale che aveva acquisito quella
sera ai loro occhi.
Se da allenatore di bambini si fosse dimostrato capace di
portare avanti anche una squadra professionale lo avrebbe scoperto solo
provando. Era l’inizio di una nuova epoca, lo sentiva, quella in cui sarebbe
riuscito a creare dall’impossibile l’incredibile e a tirar fuori dal nulla una
squadra di persone ambiziose, pronte a confluire tutta la loro passione in un
progetto che poteva avere un forte impatto sulla società.
Manolo si diede una rapida sciacquata al volto per togliersi
quella sensazione di disagio che da tutta la sera lo devastava. Era stato poco
socievole quella sera, o almeno con buona parte del gruppo. Con Davide poteva
dire di essersi spinto anche troppo oltre il semplice scambio di chiacchiere.
Tornato in camera con quella sensazione di pesantezza di cui
non riusciva a sbarazzarsi, si sdraiò accanto a Cesare e questi lo cinse a sé,
poi lo baciò sulla guancia. Manolo si voltò verso di lui, lo fissò negli occhi
e non potendo sopportare quello sguardo d'amore incondizionato chiuse gli occhi
e lo baciò sulle labbra. Si abbandonarono a un amplesso passionale e nel
frattempo le guance di Manolo si rigarono silenziosamente di lacrime, perché
tutto ciò a cui riusciva a pensare mentre faceva l'amore col proprio ragazzo
era Davide che si faceva spazio dentro di lui.
Ora, mentre si trovava dentro gli spogliatoi dopo l'attacco
feroce ad Antonio, l'idea lo sconcertava un po' e non tanto perché fosse in sé
sbagliata, quanto perché si rendeva sempre più conto di volerla realizzare concretamente.
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