SPECIALE: FESTA DI
SANT'AGATA
«Semu tutti devoti
tutti?» urlò uno dei portantini delle Candelore di Sant'Agata.
«Tutti devoti
tutti!» risposero in coro i cittadini.
Le Candelore, uno
dei simboli più importanti della festa cittadina, splendevano del loro oro luccicante
tra la folla di fedeli che riempiva le strade come un fiume in piena. Ognuna a
simboleggiare una categoria diversa di lavoratori erano nate in principio come
dei veri e propri ceri, che con l'aggiunta di sempre nuove candele erano andati
ingrossandosi a tal punto da essere poi sostituiti del tutto dal legno
tinteggiato d'oro e riccamente adornato.
In mezzo alla folla
cercavano di farsi spazio Antonio, Alessandro e Davide, che quella mattina si
era unito ai due amici per celebrare la Santa. Tra i fedeli avevano poi incontrato
Fabrizio vestito del "sacco agatino", il tipico abbigliamento dei
devoti composto da tunica e guanti bianchi, copricapo nero, cordoncino da
legare alla vita e fazzoletto da legare al collo. Sorpreso nel vederli al di
fuori del campo da calcio si mostrò schivo e dopo un rapido e freddo saluto si
allontanò per andare chissà dove.
«Ma che aveva?»
chiese Davide. I due si strinsero nelle spalle.
«Più tardi ce la
prendiamo una cassatella di Sant'Agata?» fece Alessandro.
«E guanto sei
formale! Ghiamale minne!» replicò Antonio soffiandosi il naso. Dal primo
allenamento della squadra si era preso un bel raffreddore ed era da una
settimana che non faceva altro che consumare fazzolettini.
«Sei solo invidioso
perché non puoi sentirne il sapore» ribatté Alessandro con un sorrisino.
Antonio lo guardò torvo.
«Io ci sto, ho
bisogno di zuccheri» rispose Davide.
«Ma non dicevi ghe
eri a dieta?» fece Antonio con gli occhi lucidi e il naso arrossato.
«Tanto per quanto
ci provo non calo mai di peso e comunque una minnella non mi può far male.»
«Si comincia sempre
con una» rispose Alessandro sarcastico, «Avanti, andiamo a farci di
saccarosio.» Prese i due sottobraccio e si spinse fuori dalla folla per
raggiungere il bar Savia.
Ordinate le minnette se le fecero confezionare da
portar via, poi dirigendosi verso il Giardino Bellini che si
trovava proprio di fronte, sedettero a uno dei lati della grande scalinata
dell'ingresso e le scartarono delicatamente come in un cerimoniale. Le
guardarono avidamente, non avevano mai desiderato tanto dei seni come allora.
Di quelle paste zuccherate ne parlò anche il Tomasi di Lampedusa nel romanzo
gattopardesco, col principe Salina che sorpreso si chiedeva come mai non
fossero stati proibiti dei dolcetti rappresentanti dei seni recisi. Un simbolo al
contempo forte e scandaloso, ma che veniva spesso prodotto nei conventi.
«Sant'Agata
dovrebbe essere innalzata a simbolo della violenza sulle donne in un periodo
come quello in cui stiamo vivendo oggi» esordì Davide osservando la cassatella
sul vassoietto di cartone.
«Hai perfettamente
ragione» rispose Alessandro. «Quanto sono buone!» esclamò poi addentandone una.
«Sei brobrio uno
sdronzo» fece Antonio asciugandosi il naso e guardando quel dolcetto con una
malinconia disarmante. «Brobrio adesso mi dovevo raffreddare!»
«Dai, sta
scherzando non sono poi tutto sto granché» lo rassicurò Davide, che senza
troppa decenza fece però un occhiolino ad Alessandro che se la rise sotto i
baffi.
«Lo sapevate che
questa festa prende origine da riti pagani?» disse poi quest'ultimo.
«Davvero?» fece
Davide azzannando una minnetta. «Mmm!» Poi rivolse gli occhi verso Antonio che
lo stava incenerendo con lo sguardo. «Oops... scusa.»
Alessandro terminò
il proprio dolcetto e si leccò le labbra screpolate dal freddo.
«Sì, pare sia nata
dalle tradizioni dei pagani nel celebrare la dea egizia Iside. Quest'ultima
legata anche al mito di Proserpina, la moglie del dio degli inferi, con cui
Iside veniva appunto identificata. Quando ci fu il martirio di Sant'Agata pian
piano la sua commemorazione finì col sostituire il culto di Iside e le due
celebrazioni vennero unite in una sola.»
«E tu come le sai
tutte 'ste cose?» chiese Davide incuriosito.
«Ne parla Apuleio
nelle Metamorfosi. Non hai idea di quanti punti in comune ci siano tra le due
feste. Il rito di portare la statua di una vergine in giro per la città,
adornata di...»
«Basta! Sei brobrio
un secchione!» lo interruppe Antonio stropicciandosi gli occhi che lacrimavano.
«Non ti commuovere
dai, vedrai che passerà.»
Antonio gli rifilò
una gomitata e Davide se la rise di gusto.
«Che piccioncini!» esclamò.
«Da quanto state assieme?»
I due rimasero imbambolati
e sbatterono le palpebre increduli.
«Non stiamo
assieme» rispose imbarazzato Alessandro. Davide allora arrossì e si scusò.
«Beh, buon per me»
disse involontariamente senza pensarci troppo. «Volevo dire per noi» si
corresse subito arrossendo di nuovo.
Antonio e
Alessandro si lanciarono un'occhiata complice. Si chiesero chi dei due fosse l'oggetto
del suo interesse.
«In ghe senso?»
Davide sgranò gli
occhi e non seppe più che dire.
«Ma guarda lo
abbiamo imbarazzado!» se la rise Antonio.
«Nel senso che così
possiamo uscire tranquillamente senza la rottura di fidanzati gelosi» spiegò
quindi Davide.
«Certo, certo» fece
Alessandro con un sorrisino.
«È vero!»
«Andiamo va, che
sennò ci perdiamo la festa» propose quindi Alessandro tirando per il braccio i
due e trascinandoli giù per la scalinata.
In quel momento nel
mezzo della strada le Candelore facevano la loro danza oscillatoria, cincinnando
con le decorazioni poste ai lati al ritmo della fanfara. Si trovarono proprio
di fronte alla Candelora dei giardinieri, sulla cui cima sovrastava una corona.
Era solo il terzo
cereo nella processione per cui non erano distanti dall'inizio del corteo, ma
l'immensa folla era talmente fitta che non lasciava spazio per inoltrarsi e
passare avanti. Fu così per quasi tutto il giorno e stufi di quella pressante
situazione claustrofobica decisero di tenersi fuori dalla calca finché non si
fosse fatta sera, quando avrebbero dato inizio allo spettacolo pirotecnico.
Intrappolati in
mezzo alla folla rimasero quindi in attesa dei fuochi. Muoversi era quasi
impossibile, talvolta capitava anche di essere trascinati involontariamente,
dandoti la sensazione di essere sospinto in alto.
Antonio ricordò
quando da bambino i fuochi d'artificio gli facevano paura - era a causa del
rumore e per guardarli più tranquillamente suo padre lo issava sulle spalle e
gli poggiava le mani sulle orecchie. Crescendo aveva poi superato la paura, ma
non aveva smesso di tapparsi le orecchie.
Ora quelle fiamme
colorate nel cielo lo entusiasmavano e commuovevano. Piccoli universi colorati,
miniature di Big Bang in espansione, floreali scoppi celesti. Alessandro notando
il suo sguardo lucido e sorridendo tra sé gli scostò le mani dalle orecchie e
tornò con gli occhi verso il cielo. I fuochi d'artificio furono spettacolari e
la musica di Vivaldi in sottofondo con la sua "Estate" rese lo
spettacolo ancora più emozionante. Quindi rassicurato dal fatto che Antonio non
avrebbe respinto il gesto in un momento tanto emozionante, gli prese la mano e
gliela strinse.
In un primo momento
pensò non se ne fosse nemmeno accorto, ma quando spostò per un attimo lo
sguardo verso di lui lo vide sorridere e allora capì che aveva apprezzato il
gesto.
Restarono in piedi
tutta la notte e verso le cinque e mezza del mattino del 4 febbraio - col sonno
che si faceva prepotente, ma col desiderio di restar svegli -, assistettero all'apertura
della cammaredda, ovvero il sacello che
custodiva il busto reliquiario della Santa. Un grande applauso accolse la vista
del busto interamente rivestito di ori e gioielli. I devoti alzarono quindi i fazzoletti
di un bianco candido sventolandoli in segno di saluto alla Santa. Era un
momento emozionante per tutti. Sant'Agata col suo visino perfetto scolpito
nell'argento sembrava quasi far capolino attraverso le inferriate. Allora la
gente si commuoveva, applaudiva e poi si chiudeva in preghiera.
Dopo la messa, in
cui si chiusero in rispettoso silenzio, partì il pellegrinaggio dei devoti al
seguito del fercolo.
La lettiga in
argento portava il busto della Santa per le strade della città. Era circondata
di fiori rosa a simboleggiare il martirio, che sarebbero poi stati sostituiti il
giorno successivo con quelli bianchi che indicavano invece la purezza e la
santità acquisita da Agata.
Un tappeto umano
affollava le vie coi tipici sacchi,
formando una marea bianca che si spingeva verso il fercolo per affidare i ceri,
simbolo di luce. Donati dai devoti e accesi sul carro argentato erano un modo
per ringraziare la Santa dei benefici ricevuti. In cambio ricevevano fiori e
immaginette sacre.
Venivano comprati
diversi tipi di ceri in base al voto fatto, essi potevano quindi variare in
peso, altezza e grandezza. Più grande era il voto richiesto più il cero era
vistoso.
I tre si spinsero
in mezzo alla folla per avvicinarsi a loro volta e lasciare i piccoli ceri
acquistati. Ma i catanesi si erano addensati talmente tanto alla lettiga che
era quasi impossibile camminare o sposarsi anche solo di qualche centimetro. Così
Davide prendendo lo slancio e non trovando altra soluzione, afferrò i due amici
per mano e tenendo salda la presa si addentrò nella calca spingendo e
sgomitando anche in modo un po' maleducato. Riuscì però nell'intento e cercò
per quanto gli fu possibile di avanzare e avvicinarsi. Consegnate le candele
ricevettero in cambio dei garofani rosa.
«Cittadini!
Cittadini! Evviva Sant'Aita!» urlò uno dei devoti sopra il fercolo.
«Direi che adesso
ci serve un'altra dose di zuccheri» fece Davide. «Al diavolo la dieta!»
Presso un venditore
ambulante comprarono le olivette di Sant'Agata, dolcetti di pasta di mandorla
verde che traevano la loro origine dalla leggenda secondo cui durante il
tragitto verso il martirio Agata fosse inciampata in un ulivo privo di frutti che
improvvisamente cominciò a riempirsi di olive. Da lì il colore e la forma di
quei dolcetti deliziosi, della stessa consistenza dei marshmallow ma
decisamente più ricchi di sapore.
«Ehi guardate, c'è
Fabrizio!» esclamò Antonio. Videro il loro compagno di squadra tutto solo
cercare di addentrarsi tra la folla. «Vado a ghiarmarlo» disse mettendosi a
correre.
«Aspetta!» urlò
Alessandro, ma Antonio era già partito in quarta.
Davide fermò
Alessandro che si era preparato a inseguirlo e scosse la testa.
«Ormai è spacciato»
disse grave, «Non lo vedremo più per oggi.» E come se lo avesse previsto lo
videro sparire in mezzo alla folla e non uscirne più. Alessandro spostò lo sguardo
su Davide e sorrise.
«Siamo rimasti in
due, mi sa.»
«Eh sì» rispose
Davide con un sorriso. «Andiamo a prendere un caffè?» propose, «Ho bisogno di
qualcosa per tenermi sveglio o crollo.»
Alessandro accettò
volentieri.
Antonio smarritosi in
mezzo alla gente si guardò attorno e realizzò di essere rimasto da solo.
"Furbo lui!" pensò indispettito. "Ne ha approfittato per restare
da solo con Davide."
In quel momento
nella calca scorse il volto di Fabrizio e lo chiamò. Questi sentendosi chiamare
così animatamente sgranò gli occhi e dopo essersi accorto di Antonio si nascose
in mezzo alla folla. Quest'ultimo, stringendo gli occhi ancora più
indispettito, non si diede per vinto e lo seguì. Dopo essersi fatto calpestare,
sgomitare e trascinare riuscì finalmente a uscire e gli andò a sbattere
praticamente contro.
«Ehi!» esclamò
sistemandosi la sciarpa che nella ressa gli era quasi finita ai piedi. «Si buò
sapere che cazzo ti brende?»
Fabrizio lo guardò
costernato e lo tirò in disparte.
«Sono qui con i
miei amici etero.»
Antonio rimase per
qualche istante intontito, poi annuì.
«Sgusa non l'avevo
gapito. Guindi a loro non l'hai detto ghe sei gay?»
Fabrizio si
irrigidì.
«Forse è meglio che
facciamo due chiacchiere» disse poggiandogli una mano sulla schiena e
incamminandosi per via Sangiuliano.
La festa continuò
nello spirito di devozione che abbracciava tutto il popolo catanese. Con la
stessa fede che aveva portato a generosi miracoli da parte della Santa, come
quando era stata chiesta la grazia durante il terremoto o quella volta che
aveva fermato la colata lavica dell'Etna grazie al velo agatino tra le
preghiere dei fedeli.
La fede in fin dei
conti è un po' come una partita di calcio, in cui Sant'Agata rappresenta
l'allenatore che guida e sprona i fedeli-giocatori a dare il meglio di sé e a
impegnarsi per ottenere grandi risultati nella vita come nel gioco.
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