Ed ecco che arriva il secondo capitolo del romanzo d'appendice che ho iniziato a pubblicare in rete la scorsa settimana. Questa volta presento un nuovo personaggio della storia, anzi due per l'esattezza...
Godetevi il secondo capitolo di "Tacchetto 12" :) commentate e condividete se vi piace ;)
CAPITOLO 2
ALESSANDRO
Come a tutti
nella vita, arriva il momento in cui bisogna prendere le cose di petto e
affrontare le proprie avversità con coraggio e determinazione. Così era stato
anche per Alessandro. Fino ad allora aveva vissuto subendo le angherie dei suoi
compagni di classe e ora non ne poteva più. Il liceo era finalmente terminato
con tutti i brutti ricordi che lo avevano segnato. Sin dalle medie era stato
preso di mira perché portava gli occhiali, poi quando alle superiori era
passato alle lenti a contatto avevano trovato nuovi modi per prenderlo in giro.
Così si era risparmiato il fastidio di infilarsi le dita negli occhi ed era
tornato alle care e vecchie lenti di vetro.
Era un ragazzo
smilzo, con i capelli lisci come spaghetti e dal taglio anomalo. Sembrava gli
avessero capovolto una scodella nera in testa e i suoi compagni di classe lo
avevano rinominato "Calimero" proprio perché al posto dei capelli
sembrava avere un mezzo guscio d'uovo.
A lui però era
sempre piaciuto quel taglio, gli ricordava i manga che leggeva. Molti dei
personaggi dei suoi fumetti avevano i capelli acconciati in quel modo, per
questo se li era fatti fare così.
La prima volta
che aveva portato il fumetto al suo barbiere, questi l'aveva guardato con un
misto di perplessità e rassegnazione, ma poi lo aveva accontentato. E da allora
per tutti era diventato Calimero.
Non che gli
importasse veramente molto di quel nomignolo, almeno finché i compagni si
limitavano alle offese. Erano i fatti che poi lo rendevano nervoso. Come quella
volta che gli avevano riempito lo zaino di gusci di uova marce e la puzza non se
n'era andata per giorni.
La cosa che più
gli dava fastidio era il fatto di dover quasi chiedere consensi per delle
scelte che riguardavano solo e soltanto lui e per cui temeva altrimenti di
subire pregiudizi e umiliazioni.
Ora era pronto
per affrontare un nuovo capitolo della sua vita. E questa volta non si sarebbe
fatto mettere i piedi in faccia da nessuno. L'università lo attendeva e lì
sperava di trovare persone più del suo livello, non che fosse mai stato un tipo
snob, ma aveva cominciato a diventare diffidente da quando le persecuzioni
avevano avuto inizio.
I suoi genitori
gli avevano consigliato di svagarsi con qualche attività ricreativa
quell'estate. Da piccolo lo avevano spronato spesso in tal senso, cercando di
indirizzarlo verso attività che potessero coinvolgerlo anche socialmente. In seconda
media aveva preso parte a una squadra di calcetto. Alessandro non era sembrato
particolarmente entusiasta della scelta. Aveva sempre considerato il calcio uno
sport sopravvalutato. Ma aveva comunque voluto fare un tentativo, più che altro
per accontentare i genitori, sempre preoccupati che non riuscisse a instaurare
amicizie o che tendesse a isolarsi per sprofondare la testa nei libri.
Nei primi tempi
non si era trovato tanto male, giudicandolo anzi curiosamente divertente.
Giocava nel ruolo di difensore e seppure non fosse molto bravo non sembrava
importare a nessuno dei suoi compagni di squadra. L'allenatore era l'unico che
sembrava lamentarsi della sua incapacità di concentrarsi nel gioco. Più volte
lo aveva provocato, dicendogli di tenere d'occhio la palla, di non distrarsi,
coinvolgendo pian piano anche gli altri giocatori, fomentando in loro la
competizione e la discordia, quando fino a quel momento si erano limitati a
giocare per divertirsi come lui. Poi era passato alle offese chiamandolo
incapace, imbranato, inetto. Alla fine Alessandro non ce l'aveva fatta più e
quando l'allenatore gli aveva detto con sdegno «Anche un handicappato saprebbe
giocare meglio di te», era esploso di rabbia e con violenza aveva calciato la
palla beccandolo dritto in fronte ed esultando con un «GOL!»
I genitori erano
stati chiamati a rispondere del comportamento del figlio, ancora soddisfatto
della propria rivincita. L'allenatore chiese loro se per caso ci fossero
problemi in famiglia e i due si trovarono nella situazione di sentirsi in colpa
per qualcosa che non avevano fatto.
A quel punto
Alessandro, stanco delle bugie e dell'arroganza di quel tipo, aveva vomitato
tutta la verità aggiungendo di non voler più seguire nessunissimo sport. I
genitori lo assecondarono, lasciandogli coltivare i suoi hobby.
Ora tuttavia speravano
si dedicasse a qualcosa di diverso, che magari non avesse a che fare con il
mondo dei fumetti. Non avevano nulla contro quel tipo di arte, solo che
ritenevano le esperienze sociali del figlio molto più importanti di qualunque
volumetto illustrato.
«Cercherò
qualcosa che vada bene» aveva detto loro e nemmeno un'ora dopo aveva comprato
il biglietto per Etnacomics.
Non appena i
suoi genitori lo vennero a sapere rotearono gli occhi in segno di disapprovo,
ma alla fine lo lasciarono andare.
Per l'occasione
realizzò un cosplay assemblando il costume con cose raccattate qua e là tra
oggetti di recupero, materiale acquistato in cartolibreria e vecchi abiti di
scena che sua madre teneva in mansarda da quando non lavorava più in teatro.
Quando era
arrivato alle Ciminiere - il centro fieristico in cui si sarebbe svolto
l'evento - la fila per entrare pareva lunga chilometri, ma era riuscito a
eluderla grazie al biglietto acquistato online. Era la prima volta che
partecipava, benché ne avesse sentito parlare parecchio anche gli anni
precedenti. Gli sembrava un mondo nuovo da esplorare e il programma era
talmente fitto che pur volendo non sarebbe riuscito a fare tutte le cose in
lista.
Aveva perlustrato
un po' le varie aree restando sempre più sorpreso ed entusiasta dal constatare
quanta gente come lui ci fosse in giro. Quelli che gli altri chiamavano
"nerd" o "stramboidi" e che in quel luogo sembravano invece
andare più di moda di qualunque "figo" di turno.
Per la prima
volta si sentì a casa, in un posto in cui poteva essere se stesso senza
risultare agli occhi degli altri un completo mentecatto.
Girovagando per gli
stand dei fumetti ne aveva trovato uno in particolare che aveva attirato la sua
attenzione. C'erano un sacco di manga a tematica gay e lì un uomo con un
orecchino al sopraciglio aveva mostrato un sorriso cordiale quando Alessandro
con circospezione e finto disinteresse ci era passato davanti due o tre volte
di seguito.
«Sei interessato
a qualcuno dei nostri volumi?» gli aveva chiesto alla fine l'uomo.
Alessandro colto
in castagna era arrossito e aveva scosso la testa dileguandosi in un attimo, ma
poi si era detto "Che diamine! Visto che sono qui tanto vale fare quello
che mi pare!"
Così era tornato
con passo felpato e mentre si era messo a sfogliare alcuni manga il tizio col
piercing gli aveva dato alcuni consigli.
«Quello è
interessante, ma se ne cerchi uno davvero bello leggi questo» disse porgendogli
un volumetto. Alessandro lo prese e lo sfogliò. Lesse la trama e storse il
naso.
«Troppo
sentimentale» commentò.
In quel momento
un ragazzo vestito da Edward mani di forbice si avvicinò al banchetto e interruppe
la loro conversazione.
«Stavo cercando
lo shonen'ai "No.6", ce l'hai il terzo volume?» chiese.
«Credo di sì.»
L'uomo rovistò dentro una scatola e glielo porse.
«Bello il tuo
costume» lo squadrò Alessandro sistemandosi gli occhiali. Il ragazzo lo
ringraziò e gli chiese da cosa fosse vestito lui. «L'ho inventato a dire il
vero» rispose. «È uno steampunk.»
«Cool!» esclamò
entusiasta il ragazzo osservando con più attenzione i particolari del costume ricavati
da materiali di scarto modificati a dovere.
Alessandro si
sentì sollevato dal ricevere per la prima volta complimenti anziché critiche e
ciò gli diede il coraggio di non nascondersi dietro una maschera e mostrarsi
per quello che era senza paura.
«Di che parla il
manga che stai comprando?»
«Parla di questa
grande guerra che ha devastato il mondo e ha diviso la popolazione in due
emisferi, uno apparentemente più fortunato dell'altro» disse il ragazzo
sfogliando il volumetto, «E c'è questo ragazzo, no? Shion.» Masticava la gomma
ed era curioso starlo ad ascoltare mentre se la passava da un lato all'altro
della bocca per poi fermarsi a fare dei piccoli palloncini. «Questo ragazzo
vive in una città dove la sorveglianza è molto stretta e una notte aiuta un suo
coetaneo, Nezumi, che è appena fuggito da un istituto di correzione. Così quando
Nezumi se la dà a gambe Shion si mette nei guai.»
«Sembra appassionante.»
«Lo è!»
Alessandro si
rivolse all'uomo. «Ne dà una copia anche a me? Del primo volume però.»
L'uomo tornò a rovistare
nella scatola e quando glielo consegnò Alessandro rimase perplesso, era tutto
in caratteri giapponesi.
«Scusi non ce
l'ha in italiano?»
«È ancora
inedito in Italia» lo informò il ragazzo.
Alessandro si
imbronciò. «Peccato, mi sarebbe piaciuto leggerlo.»
«Se vuoi te lo traduco
io» fece a quel punto il ragazzo.
«Dici sul
serio?» chiese Alessandro sorpreso e colpito al contempo. Il ragazzo assentì
con un sorriso.
«Piacere, mi
chiamo Antonio» disse porgendogli la mano fornita di finte forbici. «Stai
attento alla stretta o te la porto via!» esclamò divertito.
Alessandro rise
e si presentò.
«Senti, sei
venuto da solo qui?» chiese Antonio. Il ragazzo annuì. «Ti va di venire con me?
Tra poco comincia la conferenza di Akemi Takada.»
Alessandro
accettò e si diressero verso la sala adibita all'evento. Presero i primi posti,
in modo da vedere meglio l'artista che aveva disegnato celebri anime come "Lamù", "È
quasi magia Johnny", nonché il celeberrimo "L'incantevole Creamy".
Quando la videro entrare i presenti fecero un lungo applauso. Era una donna
minuta, ma graziosa, quasi sulla sessantina anche se ne dimostrava meno. Si mise
a parlare per un po' del proprio lavoro, rivelando di non mostrare altri
particolari interessi se non quello di disegnare continuamente e in tutte le
salse la sua beniamina Creamy.
«Che noia»
commentò Alessandro sussurrando ad Antonio, «Non può non avere altri hobby!»
Questi lo zittì
con un dito. «È praticamente un guru nel suo campo» disse, ma dal sorrisetto
che gli sfuggì poco dopo Alessandro intuì che anche lui la pensava allo stesso
modo.
Poi la Takada
prese due grandi fogli su cui erano stilizzati in bozza due dei suoi personaggi
più famosi - tra cui ovviamente Creamy - e tramite dei pennelli e dei colori ad
acquerello cominciò a dipingere. I due ragazzi osservarono con attenzione
mentre la donna trasformava in opere d'arte i disegni che aveva preparato per
l'occasione.
«A dirti la
verità io non amo molto Creamy» confessò Alessandro, «Preferisco Orange Road.» Antonio annuì.
«Condivido.
Creamy è un po' troppo da ragazzine. ...Però mi piace lo stesso» aggiunse
mostrandogli un sorriso a trentadue denti. «Sarà che in fondo al cuore mi sento
un po' ragazzina anch'io.»
Alessandro rise
sotto i baffi, attirando l'attenzione dell'artista che in quel momento stava
rispondendo a una delle domande dei presenti. Si scusò gentilmente in inglese e
diede una gomitata al fianco di Antonio che se la rideva ancora.
Alla fine della
giornata avevano fatto un sacco di cose: un torneo di spade, un gioco di
strategia in cui a turno entrambi avevano battuto abilmente tutti i seduti al
tavolo, avevano visto la mostra per il settantacinquesimo anniversario di
Batman, la premiazione dei cosplay più belli, avevano girato per stand
comprando fumetti e chincaglie in quantità e avevano concluso in bellezza col
concerto di Cristina D'Avena.
A fine giornata
Alessandro gli aveva chiesto se il giorno dopo si sarebbero rivisti di nuovo lì
- l'evento sarebbe durato tre giorni di fila e lui non se ne sarebbe perso
nemmeno uno.
Antonio scosse
la testa e sospirò.
«Non posso»
disse a malincuore. «Devo lavorare. Avevo la possibilità di venire solo oggi,
così ne ho approfittato.»
«Dove lavori?»
«Al Pegaso.»
Alessandro aveva sentito nominare decine di volte quella discoteca, ma non
c'era mai andato, un po' per paura, un po' perché non avrebbe avuto con chi
andare. «Aiuto con i costumi» lo informò.
«Beh, direi. Hai
talento» commentò Alessandro dando un'occhiata più approfondita al cosplay di
Edward. Non era una di quelle cose confezionate, si vedeva che era fatto a mano
e con cura nei dettagli.
«Grazie! Vieni a
trovarmi se ti va. Io sarò lì alla serata di domani sera.»
Alessandro
storse il naso. «Non frequento i locali gay.»
«Non è mai tardi
per cominciare» lo esortò Antonio.
Alessandro si
strinse nelle spalle, le discoteche non facevano per lui.
Era un po' dispiaciuto,
gli sarebbe piaciuto passare con lui anche le altre giornate della fiera. La verità
era che gli sarebbe bastato anche il solo rivederlo.
Si scambiarono i
numeri per tenersi in contatto e si salutarono.
«Ci sentiamo,
così ti traduco "No.6"» ammiccò.
Alessandro lo
salutò con un cenno della mano e lo vide sparire in auto con un gruppo di
ragazzi che erano venuti a prenderlo. Da dentro l'auto, sparata a palla, Kylie
Minogue cantava "We're on a
timebomb, it might not last long..."
I restanti
giorni di fiera del fumetto non furono così speciali come Alessandro aveva immaginato
all'inizio, quando aveva comprato i biglietti. Senza Antonio tutto sembrava
meno divertente.
Pensò
costantemente a lui, ma non lo chiamò e non rispose ai suoi messaggi su WhatsApp
in cui cercava di convincerlo a fare "un salto o due" in discoteca.
Ciò che lo aveva
sempre bloccato nel fare la qualunque cosa gli piacesse veramente era quello
che gli altri avrebbero potuto pensare di lui. Aveva sempre temuto il giudizio degli
amici, dei suoi compagni di scuola, dei professori, dei suoi genitori. Ma
quella sera si era reso conto che se davvero le cose dovevano cambiare all'università,
da qualche parte avrebbe pur dovuto iniziare. E se quella non poteva essere
l'occasione giusta per fare un tentativo, allora quale lo era?
Alla fine si
decise, ci sarebbe andato.
Il Pegaso's Club
era una discoteca che si trovava lungo la strada che conduceva ai vari lidi
della playa catanese. Il club era nato nel 1994 e da allora era stato un punto
focale della movida gay catanese.
Alessandro non
c'era mai stato. Aveva sempre evitato di venire a contatto con la realtà
associata a quella parte di sé che cercava di tenere nascosta agli altri e che
era venuta fuori quando a sette anni si era innamorato di Ken il guerriero.
Quella sera si
era sentito finalmente pronto a uscire dal guscio (un modo di dire che nel suo
caso calzava a pennello). Non aveva amici gay e Antonio era stato il primo che
avesse conosciuto personalmente. Fino ad allora le sue conoscenze erano state
esclusivamente virtuali, non era mai riuscito a portarle al di fuori della chat
in un tipo di rapporto che fosse anche solo amichevole.
Adesso voleva
ribaltare le cose. Prendere in pugno la situazione, combattere i propri demoni
interiori e concretizzare nella realtà.
Parcheggiata l'auto
di famiglia - che i genitori avevano concesso di prestargli dopo un lungo tira
e molla - i ragazzi avevano cominciato a guardarlo come un pezzo di carne
fresca sventolata davanti a un giaguaro. Si sentì in soggezione, non gli era
mai capitato di essere osservato in modo così insistente.
Si era diretto
alle casse un po' titubante e un ragazzino magro e con una maglietta di Madonna
gli aveva chiesto se aveva la tessera dell'arcigay. Alessandro scosse la testa
e cominciò a pensare di aver fatto tanta fatica inutilmente, non aveva nemmeno
idea che servisse una tessera per entrare. Pensava che il fatto di essere gay
fosse un requisito più che sufficiente. Ma il ragazzo specificò con una certa
acidità e impazienza che era necessaria per entrare.
Il nuovo Alessandro - quello che non si
sarebbe lasciato intimorire da nessuno - stava per uscire fuori prepotentemente
per rispondergli con un bel "Datti una calmata", quando Antonio
spuntò alle sue spalle all'improvviso.
«Sei venuto alla
fine!» esclamò.
«Beh, sì»
rispose lui salutandolo con un bacio sulla guancia. Antonio era molto diverso
da come lo aveva visto alla fiera del fumetto. In realtà quella parrucca nera e
scompigliata del suo travestimento nascondeva una chioma bionda e cortissima
con una cresta al centro che partiva dalla fronte e finiva sulla nuca.
«Lui è con me»
fece Antonio rivolgendosi al ragazzo della cassa, questo annuì disinteressato e
li lasciò entrare mentre faceva il biglietto alla folla di ragazzi tirati a
lucido che si era accumulata dietro Alessandro.
Antonio lo trascinò
per il polso e quando arrivarono alla pineta vicino al locale lo osservò e si
posò una mano sul mento, reggendo il gomito con l'altra mano.
«Caspita,
pensavo fosse una parrucca quella che avevi a Etnacomics» disse senza peli
sulla lingua. «Ti serve decisamente un cambio di look» lo informò. «Una cosa
veloce, sei già carino di base.»
Alessandro parve
sussultare e Antonio gli tolse gli occhiali.
«Senza non ci
vedo bene» disse mentre Antonio glieli riponeva nel taschino della camicia.
«Non ti
serviranno. Nel buio non vedrai comunque molto.»
«Buio?» chiese
confuso.
«In pista»
specificò il ragazzo, «Non è poi così illuminata.» Gli aggiustò i capelli
portandoglieli all'indietro e tenendoglieli fissi con la mano. «Uhm!» commentò
compiaciuto. «Seguimi, ti faccio diventare un modello stasera.»
«Non è necessario,
davvero» rispose Alessandro, ma Antonio lo stava già trascinando dentro un
camper adibito a camerino. Si trovarono in mezzo a un mucchio di ragazzi che si
stavano truccando e vestendo per lo spettacolo di quella sera. Erano le drag
queen che avrebbero movimentato la serata. Alessandro salutò tutti timidamente,
ma questi quasi lo ignorarono, erano troppo presi dalla prova trucco.
«Ecco qua» fece
Antonio prendendo un tubetto di gel. Se ne fece scivolare un po' sul palmo e
poi dopo aver strofinato le mani l'una con l'altra gliele passò tra i capelli
scompigliandoglieli un po'. Lo osservò per un momento da lontano e gli diede
un'altra sistemata restando a pochi centimetri da lui.
Alessandro
avvampò e si sentì strano.
«Ora sì che va
bene» commentò Antonio soddisfatto. «Non sembri più Rivaille.»
«Chi?» chiese
confuso Alessandro.
«Un personaggio
de "L'attacco dei giganti". Ti presto anche quel manga se vuoi.»
Alessandro
rimase per un attimo sulle sue, stupito da tanta gentilezza, poi annuì.
«E ora si balla!
Va' e cerca la tua preda» lo spronò strizzandogli l'occhio. «Io ho ancora un
sacco di lavoro da fare. Ci vediamo più tardi, appena finisco, dopo lo
spettacolo.» Gli schioccò un bacio sulla guancia e tornò dalle drag queen per
aiutarle con gli abiti.
Alessandro si
toccò la guancia e arrossì. Uscì dal camper sorridendo ed entrò senza problemi
in discoteca. Era un posto ampio, accogliente, con una pineta all'esterno dello
spazio adibito alle piste, una grande piscina al centro e un bar a pochi passi
da essa. Le piste erano due e la gente non le aveva ancora affollate.
Non sapendo bene
cosa fare, prese posto su uno dei divanetti di vimini e si guardò attorno. Ce
n'era di tutti i tipi. Orsi, fashion victim, prime donne, hipsters e chi più ne
ha più ne metta.
Lui non
rientrava in nessuna di quelle categorie, ma era comunque stato adocchiato - e
anche di brutto dopo che Antonio gli aveva sistemato i capelli. Però non si
sentiva ancora pronto al rimorchio per cui rimase tutta la sera per lo più da
solo. Ogni tanto qualcuno si avvicinava e gli chiedeva se aveva da fumare.
Scuoteva la testa cortesemente e se ne restava immobile al suo posto, non
capendo che quella era il più delle volte una tattica per attraccare.
A fine serata
stava quasi per andarsene annoiato quando Antonio lo aveva raggiunto tutto
sorridente.
«Eccoti qua!»
aveva esclamato gettandogli le braccia intorno al collo. «Ti stavo cercando.
Che hai fatto? Ti sei divertito?»
Alessandro si
strinse nelle spalle.
«Scusami se sono
sparito per tutta la sera, ma sai... è lavoro. Queste drag sono così esigenti!»
Avevano passato
il resto della nottata assieme e si erano rivisti nei giorni seguenti. La loro
era stata una conoscenza così rapida che avevano bruciato le tappe. Erano
diventati amici pur non sapendo praticamente niente l'uno dell'altro.
Così una mattina
si erano incontrati al Giardino Bellini e Antonio gli aveva raccontato di sé.
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