Ecco con un po' di ritardo il nuovo capitolo del romanzo d'appendice "Tacchetto 12". Oggi si parla un po' di Antonio, uno dei personaggi presentati nel capitolo precedente. Gustatevi questo nuovo "episodio" e condividete ;)
CAPITOLO 3
ANTONIO
«E che passioni
hai oltre i manga e gli anime?» gli aveva chiesto Alessandro.
«Forse non ci
crederai» rispose Antonio, «Perché magari tu mi vedi così e pensi che sia un
po' effemminato... Però beh, mi piace il calcio.»
«Sei un gay
anomalo.»
Antonio rise.
«Lo so, me lo dicono tutti.»
«Non c'è nulla
di male nel fatto che ti piaccia il calcio» osservò Alessandro.
«Lo penso
anch'io, ma sai la nostra società è così ghettizzata! Non ti puoi muovere di
una virgola dal cliché che ti hanno appioppato che vieni subito additato.»
Scosse la testa fra sé. «È così deprimente.»
«Ti capisco. A
me hanno affibbiato la figura di secchione alle elementari e non sono riuscito
più a levarmela di dosso» si imbronciò. Antonio lo fissò e pensò che fosse
buffo.
«Neanche
nell'essere un secchione c'è nulla di male» lo rincuorò, «La cultura paga. O
almeno lo farebbe in un Paese civilizzato, che non è il nostro caso, ma ti pone
comunque un gradino più in alto rispetto agli altri. È un vantaggio. Chi ti
giudica spesso lo fa perché ti invidia» gli disse facendogli un occhiolino.
«Forse hai
ragione» si convinse Alessandro. «E sai che ti dico? Che alla prima partita che
fanno al Massimino verrò con te!»
Antonio stese la
mano e ci sputò sopra. «È una promessa.»
Alessandro
guardò quella mano inumidita con un po' di sdegno, ma sputò a sua volta sulla
propria e gliela strinse.
Da allora quando
il Catania giocava in casa non perdevano occasione per comprare i biglietti e
sedersi in curva a tifare quella che già per Antonio era la squadra del cuore e
che per Alessandro lo sarebbe presto diventata.
Antonio
proveniva da una famiglia di Librino, un quartiere nato alla periferia della
città e progettato dall'architetto giapponese Kenzo Tange. Era stato questo
particolare a destare la curiosità del ragazzo verso la cultura giapponese, che
volle negli anni approfondire, a cominciare dai manga, che davano il perfetto
background culturale per un otaku
ancora alle prime armi. Si era poi portato avanti con la letteratura, leggendo
romanzi di Banana Yoshimoto, Yukio Mishima, Haruki Murakami e ultimo, ma non
per questo minore, Koji Suzuki.
Il suo sogno più
grande era stato da sempre quello di andare in Giappone ed entrare nei Samurai
Blue - come veniva comunemente chiamata la Nazionale di calcio giapponese.
L'idea era nata
quando aveva visto per la prima volta in tv "Holly e Benji". Li aveva
visti giocare e aveva pensato "Io voglio giocare in una squadra
così", pur rendendosi conto che quello era solo un cartone animato e che
la reale squadra nazionale giapponese giocava in modo pessimo.
Così aveva
iniziato ad allenarsi nel cortile di casa con la sorella minore, che a quei
tempi aveva solo due anni. Le diceva di dare un calcio alla palla e lui
l'avrebbe presa al volo. Ogni tanto sua sorella tirava così piano che lui aveva
anche il tempo di fare il rallenty e si sentiva un po' come dentro il cartone
animato. Sua sorella apprezzava tantissimo la performance e ogni volta si
sganasciava dalle risate.
La sua era una
famiglia umile, sua madre era casalinga e suo padre un commerciante che vendeva
verdura al mercato di piazza Carlo Alberto. Ogni tanto era andato ad aiutarlo,
ma aveva smesso quando giornalmente dei ragazzini per prenderlo in giro avevano
continuato a chiedergli "A quanto la vendi la banana?"
Così aveva
iniziato a prendere in considerazione il mestiere della sorella maggiore Lucia.
Faceva la sarta e aveva iniziato quell'attività da piccola, confezionando
abitini per le bambole e le Barbie delle sue compagne di scuola e della
sorellina (con cui segretamente giocava anche Antonio). Da grande aveva poi
seguito dei corsi, che il padre aveva pagato a prezzo d'oro, ma che non le
avrebbe mai negato. Era disposto a fare di tutto pur di aiutare i propri figli
a costruirsi un futuro. Così non aveva preso con dispiacere la decisione del
figlio di seguire i passi della sorella. E quando lei aveva aperto la sartoria
lui l'aveva aiutata, imparando le tecniche, procacciando clienti, facendole
pubblicità tramite internet.
Sua sorella era
bravissima nel cucito, ma mancava di una cosa che lui invece possedeva in
quantità esorbitante: la fantasia.
Presto aveva
cominciato a disegnare i bozzetti degli abiti e le clienti si erano dimostrate
spesso soddisfatte dei loro lavori. Poi un giorno era entrato lui, un ragazzo
dai capelli lunghi e dai tratti efebici. In un primo momento la sorella l'aveva
scambiato per una ragazza, facendo una gaffe terrificante che non si sarebbe
mai perdonata. Ma il ragazzo non si era offeso e aveva anzi commissionato loro
proprio un abito da donna. Si era fatto prendere le misure sotto l'occhio
attento ma inquisitore di Lucia ed era uscito dal negozio salendo su una panda
tutta sgangherata.
Antonio l'aveva
seguito per lasciargli il loro biglietto da visita (e anche un po' per
curiosità). Entrambi non avevano fatto altro che guardarsi tutto il tempo
mentre la sorella misurava braccia, gambe, busto e quant'altro.
Si erano intesi
a vicenda, il segreto di pulcinella era saltato all'occhio subito e si erano
scambiati i numeri. Quando Antonio era stato chiamato personalmente per
lavorare ad altri abiti aveva finalmente compreso a cosa servissero. Quel
ragazzo che era entrato in negozio non era altri che una delle drag queen del
locale gay più conosciuto della città.
Aveva cominciato
a lavorare per loro, accostando l'attività di costumista a quella che svolgeva con
la sorella.
Per un po' le
cose erano andate per il verso giusto, poi qualcuno aveva fatto la spia. Avevano
scoperto che Antonio lavorava per i "froci" e che anche lui era un
"finocchio patentato".
Un giorno non
mancarono di riferirlo anche al padre, proprio lì al mercato, quando avevano
visto Antonio portargli una delle casse di frutta che si era dimenticato in
garage.
«Signor
Privitera» aveva cominciato uno dei commercianti, «Ci l'aviti nu beddu finucchieddu?»
Il padre aveva guardato l'uomo in modo torvo. Sapeva quali erano le voci che
giravano sul conto di suo figlio, ma non aveva mai dato peso ai pettegolezzi.
«Talè! Ci n'é unu
cà!» aveva esclamato l'uomo prendendo Antonio per le spalle e facendo capolino
sulla sua spalla. «E pari beddu friscu!»
Gli altri
commercianti si erano messi a ridere e il padre aveva cominciato a innervosirsi.
«Lassa stari ma
figghiu» gli aveva ordinato.
«Bii! Privitera
ti 'ncazzasti? A stava schirzannu!»
Antonio si
scrollò le spalle e si voltò verso l'uomo.
«Si mi tocchi
arrera ti spaccu u culu» gli disse arrabbiato.
L'uomo si mise a
ridere di gusto.
«A beddu, forsi
ca forsi è chiù probabili ca tu spaccu iu.»
A quel punto il
padre si era precipitato in mezzo alla piazza e la gente che aveva assistito
alla scena già pregustava la rissa, ma Antonio lo aveva tenuto fermo dicendogli
di lasciar perdere.
«Fatti i cazzi
to'» rispose Antonio al commerciante, «Ca iu mi fazzu i mei.»
A quel punto
fraintendendo la frase - che volutamente o meno Antonio aveva espresso in modo
ambiguo - i commercianti presero a deriderlo e sbeffeggiarlo.
«Chistu è ma
figghiu e si è puppu o no a mia nun mi ni futti nenti. Taliativi viautri,
minchiuni!» lo difese il padre a spada tratta.
Si era messo
contro un sacco di gente, forse minando anche la propria attività e Antonio ne
era rimasto sorpreso. Non avrebbe mai creduto suo padre capace di mettersi
contro il senso comune e di patteggiare per lui in una cosa tanto difficile da
digerire. Eppure così era stato e dopo che lo aveva difeso il padre si era
voltato verso di lui e lo aveva abbracciato.
«Ti voglio bene»
gli aveva detto, «Così come sei. Sono orgoglioso di te.»
Antonio venne
travolto dai sentimenti e piangendo a dirotto lo aveva stretto forte a sé. I
commercianti avevano assistito a quel piccolo gesto d'amore e una signora che
vendeva frutta lì vicino si era commossa e aveva cominciato a battere le mani.
Altri la seguirono e il commerciante che aveva iniziato la baruffa se ne tornò
alla propria bancarella con la coda tra le gambe.
Da quel momento
il signor Privitera aveva sempre appoggiato il figlio, accompagnandolo perfino ai
gay pride che si erano tenuti in città. Sin dai primi anni di fanciullezza gli aveva
insegnato che bisognava lottare per la libertà ed entrambi ci credevano ancora
fermamente.
#FabDraka #Tacchetto12 #GayCalcio
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