mercoledì 29 agosto 2012
sabato 25 agosto 2012
IL MIO GROSSO GRASSO VIAGGIO GRECO, RESOCONTO DI UNA VACANZA ELLENICA, parte 2 "Tour de force":
Il mattino seguente ci svegliamo più stanchi
del giorno prima, ma dobbiamo andare. Mettiamo in valigia quel po' che abbiamo
tirato fuori e andiamo a "parlare" con la proprietaria del B&B
per il check-out. Saluto con un «Kalimera» e lei mi chiede se voglio del caffè.
Rifiuto gentilmente e mi faccio restituire il documento che aveva preso come garanzia,
poi le do la somma pattuita. Quindi ci affrettiamo ad appostarci alla fermata
del bus davanti al B&B per dirigerci a Thira, da cui dovremo prendere il
bus che ci porterà a Oia. Quando arriviamo alla stazione centrale c'è talmente
tanta confusione che non riusciamo a trovare il bus, finché un tizio si mette a
urlare «Ia! Ia!» e capiamo che è quello il bus (Oia in effetti si pronuncia così in greco). Arriviamo a Oia e
purtroppo dobbiamo spostarci tra le stradine strette con il nostro enorme trolley.
È talmente pesante e ingombrante che quasi mi pento di essermelo portato
dietro.
Oia è molto carina, le strade sono
caratteristiche, piene di negozietti e ristorantini, compriamo qualche souvenir
e ci spingiamo verso la lunga strada (fatta anche di scale... maledetto
trolley) che ci porta in fondo alla città, dove si vede il panorama della costa
con tutte le belle casette colorate. Scattiamo qualche foto e poi siamo
costretti a tornare indietro per prendere il bus per Thira (abbiamo il
traghetto di ritorno alle 15 e non possiamo assolutamente perderlo). Inizia il
tour de force.
Alla fermata, nell'attesa che arrivi il bus,
siamo talmente affamati (non abbiamo ancora fatto colazione) che prendiamo a
volo un gyros (sarebbe il kebab greco, con l'immancabile montagna di cipolla). Ma
proprio mentre siamo a metà pranzo arriva il bus col suo frenetico bigliettaio
che fa fretta ai passeggeri per salire e carica tutti i bagagli sul bus. La
fretta è dovuta al fatto che le tratte vengono effettuate ogni mezzora e cercano
di rispettare gli orari meglio che possono.
Noi cerchiamo di nascondere il gyros per
salire sul bus, ma il tizio se ne accorge e ci dice che non possiamo salire col
cibo (ha ragione, ma anche noi abbiamo fretta). Così, nonostante ci siamo quasi
strozzati per finire il gyros in tempo per salire, ci lascia giù e sta per portarsi
il nostro trolley (sì, sempre lui, il maledetto) che è nel bagagliaio,
nonostante io tenti per più di una volta di fargli capire che dobbiamo
riprenderlo.
Prendiamo il bus seguente, ma un numerosissimo
gruppo di spagnoli occupa quasi tutti i posti del bus senza lasciare salire
altra gente. Io fortunatamente riesco a trovare due posti in fondo, ma il mio
raga che stava posando il bagaglio è rimasto indietro e non riesce a
raggiungermi. Per un momento temo che lo lascino giù, ma per un caso fortuito
viene scambiato per uno spagnolo e questi ultimi lo lasciano salire.
Sul bus mentre viaggiamo sento un italiano litigare
con una donna spagnola perché i posti erano stati tutti ingiustamente occupati
(ognuno parla la propria lingua e io che li capisco entrambi assisto allo
spettacolo). Volano una raffica di insulti e stufo dello stupido battibecco
(anche se a mio parere l'italiano aveva ragione), guardo fuori dal finestrino
il panorama della campagna di Oia. Vedo le casette bianche, gli asinelli, i bar
dove gli anziani giocano a carte su tavoli e sedie azzurre e poi campi arati e
spaventapasseri (uno dei quali era fatto con una bambola gonfiabile, giuro!).
Arriviamo a Thira e abbiamo appena un paio d'ore per visitarla prima di
prendere il bus che ci porterà al porto Athinios.
Qui la prima cosa che troviamo durante il
nostro tragitto è una grande chiesa in stile bizantino, all'interno è
bellissima (forse una delle più belle che abbia mai visto), ma purtroppo non ci
è permesso fare foto. La guardiamo ammirati da cotanta accuratezza nei dettagli
e poi usciamo per cercare di raggiungere la strada che sembra portare al centro
della città. La troviamo troppo caotica però e col trolley visitarla è quasi
impossibile (fortunatamente eravamo in due e facevamo i turni per portarlo).
Stufi, visto che la città è tutta in salita e ci sono troppi turisti, decidiamo
di tornare indietro anche perché è tardi e dobbiamo prendere il bus per Athinios.
Qui altra lotta per salire. E per evitare che
accada come a Oia con gli spagnoli, questa volta usiamo una tattica diversa. Il
mio raga prende i posti e io metto il trolley nel bagagliaio (così in caso
posso comunicare in inglese la mia urgenza nel partire). La gente quasi si
ammazza per sistemare il proprio bagaglio, ma io ce la faccio e salgo subito
sul bus. Sono fradicio di sudore per il caldo e anche per la lotta dovuta alla
paura di perdere l'ultimo bus per il porto, ma sedutomi accanto al mio ragazzo
finalmente mi rilasso. Arriviamo ad Athinios e non mi pare quasi vero di non
dover fare le corse per una volta. Attendiamo il nostro traghetto in una specie
di gate, dove fortunatamente grazie a due italiani troviamo posto per sedere.
Poi dei turisti cinesi affollano quasi completamente il gate finché non è il
momento di prendere il traghetto.
Quando siamo a bordo possiamo finalmente
rilassarci e questa volta non facciamo l'errore di sistemarci sui divanetti
dentro la nave. Andiamo direttamente sul pontile e ci mettiamo comodi lì al
sole, dove nessuno ci disturba e possiamo godere del panorama bellissimo delle
isole mentre riposiamo un po'.
Siamo esausti, ma ne è valsa la pena perché
Santorini è davvero bella da visitare. Dopo un po' ci addormentiamo, il viaggio
è lungo e arriveremo ad Atene solo a notte tarda.
Alla prox avventura...
© Fab Draka
Alla prox avventura...
© Fab Draka
venerdì 24 agosto 2012
IL MIO GROSSO GRASSO VIAGGIO GRECO, RESOCONTO DI UNA VACANZA ELLENICA parte 1: "Perissa"
Il mio viaggio inizia dal porto Piraeus di Atene,
dove io e il mio raga siamo arrivati verso le tre di notte con un bus urbano
che partiva dall'aeroporto (Atene per i trasporti è organizzatissima). Il porto
di notte è silenzioso e un po' cupo, la gente che vi si incontra poi è un
tantino particolare. Un tizio ha pisciato davanti a noi due volte senza curarsi
di nascondersi meglio, un altro che cercava cibo nella spazzatura continuava a
gironzolarci intorno e nonostante dovessimo aspettare il traghetto che partiva
alle sette e mezza, sono rimasto seduto su un muretto tutta la notte senza
chiudere occhio. L'atmosfera insomma non era delle più rassicuranti. Tuttavia
la vista di altri turisti in giro (si contavano su una mano al nostro arrivo,
ma sempre meglio di niente) ci ha rassicurati un po'.
Alle sette finalmente ci fanno salire sul traghetto
che ci porterà nel porto Athinios di Santorini. Non appena entriamo ci
fiondiamo sui divanetti e ci facciamo una mezzoretta di sonno, finché una tizia
della stazza di un armadio ci sveglia dicendo in greco (poi a gesti visto che
non la capivamo) che dobbiamo lasciare posto sui divanetti per gli altri passeggeri.
Assentiamo e non appena sparisce ci rimettiamo sdraiati sui divanetti. Nel
frattempo arrivano gli altri passeggeri che prendono posto nella sala dove ci
troviamo, ben arredata e luminosa, con tanto di tv e tavoli per mangiare. Destati
continuamente dal troppo chiasso decidiamo di restare svegli finché il dannato
traghetto non parta (con un ritardo di quasi mezzora).
Alle otto finalmente si parte, ma siamo talmente
stanchi che ci addormentiamo subito e non riusciamo a vedere il paesaggio
marino che ci circonda. Tuttavia tra un pisolino e un altro riesco a
intravedere qualche roccia, poi ci fermiamo a Paros per la prima sosta.
Decidiamo di andare sul pontile per vedere il panorama, mentre la gente che si
deve dirigere sull'isola scende dal traghetto intasando la piazzola del porto.
Così accade per altre due volte a Naxos e poi a Ios
(il panorama è più o meno lo stesso, grandi rocce che si stagliano verso il
cielo e una moltitudine di casette bianche con in mezzo alcune chiese dalle cupole azzurre).
Finalmente si arriva a Santorini. Prima di scendere
dal traghetto ci fanno appostare tutti davanti al portale-ponte che ci farà
scendere dalla nave. Sembriamo di stare in una gara di corsa. Ci mettiamo
appostati in modo da poter scendere velocemente per prendere l'autobus che ci
porterà a Thira, il centro vitale di Santorini nonché stazione di tutti i bus
che partono per le altre città dell'isola.
La gente si accalca nella piazzola non appena il
ponticello tocca terra e noi ci fiondiamo verso il bus, che fortunatamente
troviamo subito e ci viene a costare più di quello che avevamo previsto.
Arriviamo a Thira, qui ci piacerebbe fermarci, ma
abbiamo i minuti contati per poter arrivare al B&B prima che l'orario di
check-in scada. Altra corsa contro il tempo. Troviamo il bus, mettiamo la
valigia nel portabagagli e dopo una mezzora arriviamo a Perissa, dove
alloggeremo.
Qui la fermata del bus si trova praticamente
davanti al B&B (quando si dice avere culo).
Vediamo due tizi anch'essi italiani che alloggeranno nello stesso B&B, ma
non ci cagano di striscio. Ci accoglie un tizio vivace (un po' troppo forse) e
una signora che non parla una parola di inglese e con cui dobbiamo capirci
tramite il tizio (che parla inglese a modo suo). Fin qui tutto ok. Ci fanno
accomodare in quella che dovrebbe essere la reception per prendere i nostri
dati e restiamo un po' confusi. La reception sembra una lavanderia. È
una cucina, ma sparso in giro c'è il bucato della mattina (credo) e sembra di
essere entrati in casa di qualcuno mentre faceva le faccende di casa. Prendono
i nostri dati, firmo e andiamo in camera. Il mio raga apre la finestra per far
prendere un po' d'aria alla stanza e si vede comparire un asino davanti (io nel
frattempo me la rido). Dietro il B&B in pratica c'è un giardino con
l'asinello, tipico trasporto greco (o almeno così dicono, ma io non ho visto
nessuno farci un giro).
Dovremmo andare a vedere Oia, perché abbiamo poco
tempo per visitare l'isola (solo due giorni), ma optiamo per un pomeriggio
rilassante al mare di Perissa, che si rivela un'ottima scelta. La spiaggia
libera in cui ci sistemiamo si trova non molto distante dal B&B ed è fatta
di pietruzze nere, che però non fanno male se ci cammini sopra a piedi nudi. Il
mare è stupendo, l'acqua cristallina. L'unico inconveniente è che dopo un paio
di metri a nuoto sotto si crea l'abisso e se non sei abbastanza alto (come nel
mio caso) rischi di affogare. Il sole ci riscalda dolcemente alla nostra uscita
e la gente comincia a spostarsi verso i vari localini che affollano il
lungomare. Decidiamo di andare anche noi, trovando la passeggiata parecchio
piacevole. I locali si sono riempiti di gente che mangia, balla (dove fanno
musica live) o sorseggia un cocktail seduta comodamente sui divanetti. A ogni
ristorante che passiamo un cameriere ci ferma per farci accomodare, ma ho già
dato un'occhiata furtiva ai prezzi dei menù esposti e non ci penso proprio a
pagare quelle cifre. Tra l'altro una prima mazzata l'avevo già avuta al porto
di Piraeus dove, proprio per non aver guardato il menù prima di entrare, ho
pagato undici euro per due caffè disgustosi (avete presente il rimasuglio del
rimasuglio del caffè? Ecco, peggio.) e due brioche minuscole.
Ci spostiamo più avanti alla ricerca di una chiesa
dal tetto azzurro che si intravede in lontananza e che sembriamo non
raggiungere mai. Finalmente dopo aver girato tutti i negozi di souvenir e aver
oltrepassato tutti i ristoranti e i localini la troviamo, vi entriamo ed è
veramente bella. Purtroppo non abbiamo potuto fare foto perché non ci era
permesso.
Dopodiché cominciamo a sentire lo stomaco
brontolare. È
ora di cena e decidiamo di entrare in uno dei locali che sembra costare meno
(la Grecia è carissima a dispetto di quello che si dice). Il mio raga prende
un'insalata greca (feta, olive, pomodoro, lattuga e chili di cipolla), io un
souvlaki al maiale (è una specie di kebab con la piadina più piccola ma più
spessa e dentro ci vengono messi gli ingredienti tipici di un kebab con in più
uno spiedino di carne, la salsa tzatziki e
chili di cipolla). Mangiamo molto bene, anche se un mucchio di gatti affamati
ci circonda per tutto il tempo e io devo aspettare un bel po' prima di avere il
mio delizioso souvlaki.
È la notte di Ferragosto, per cui decidiamo di
passarla al mare assaggiando dei dolci tipici greci (delle specie di
marshmallow alla frutta ricoperti di zucchero a velo) e bevendo l'ouzi (il
liquore greco all'anice). Non ci vuole molto prima che ci ubriachiamo, perché
l'ouzi è fortissimo (quasi 40 gradi) e già un sorso ti fa schizzare gli occhi
fuori dalle orbite.
Passiamo la notte in spiaggia e poi verso le
due e mezza, quando ormai non si vede più nessuno in giro decidiamo di tornare
al B&B. La strada di ritorno non è rassicurante come all'andata. Prima di
tutto perché è totalmente buia, infatti solo la luna illumina il nostro
cammino, e poi perché i cani randagi sono un po' ovunque. Li sentiamo abbaiare
a qualsiasi rumore sentano e non vogliamo rischiare di essere sbranati. Se
questo non bastasse i cavalli, che dovrebbero trovarsi nei recinti delle case, sono invece lasciati liberi. Ci muoviamo piano piano, senza far troppo rumore
per non innervosire gli animali e tenendoci stretti stretti arriviamo finalmente
alla nostra stanza. Esausti ci buttiamo sul letto e ci abbandoniamo al sonno.
Il giorno dopo dobbiamo svegliarci presto per andare a Oia e poiché non abbiamo
ancora recuperato del tutto la stanchezza del viaggio, si prospetta come una
giornata faticosa da affrontare.
Alla prox puntata
© Fab Draka
domenica 5 agosto 2012
Primo capitolo di "Love Kills"
Sono nato piangendo, come tutti gli esseri umani, mentre
la gente intorno a me sorrideva felice. Ma ho deciso di terminare la mia vita
in modo da essere l’unico a sorridere quando morirò. Prenderò questa perla di
saggezza di Jim Morrison per esprimere in breve la mia vita.
Ho preferito abbandonare una via per seguirne un'altra e
se le cose andranno peggio questo non posso saperlo, ma di certo qualcosa
cambierà per sempre.
Sdraiato su quel letto freddo fissavo il muro con occhi
spenti, come se tutto ciò che mi circondava fosse evanescente. La stanza, quasi
del tutto buia a causa delle persiane socchiuse, era diventata inquietante non
solo a causa dell’oscurità che la avvolgeva, ma anche per il fatto di essere
permeata di umiliazioni e violenze che non riuscivo più a sopportare. Abusi che
si perpetravano ormai da anni.
Fissavo quel maledetto muro mentre il mio carnefice
abusava di me un’altra volta, senza che potessi pensare a nulla. La mia mente
si svuotava del tutto ogni volta che succedeva, come se mi trovassi in una
sorta di trance o in un altro luogo lontano.
All’inizio oltre alla confusione c’era stato il dolore
fisico, poi col tempo mi ero abituato, ma la sofferenza che portavo dentro era
immensa e non cessava mai.
Quando ebbe finito con me prese una mia maglietta e ci si
pulì. Lo lasciai fare, non l’avrei mai più rimessa. Rimasi lì sdraiato sul
letto mentre lui andava in bagno a pisciare, il mio sguardo rimase ancora fisso
sul muro come se in qualche modo stessi cercando di guardarvi oltre, sapendo
tuttavia che anche fosse stato possibile non vi avrei trovato granché.
Rientrò nella stanza e prese dei vestiti dalla sedia
vicino al comò, se li mise e poi tornò in bagno a darsi un’ultima sistemata,
non si era nemmeno accorto che ero ancora sdraiato sul letto. Non mi salutò
neanche prima di uscire, e perché mai avrebbe dovuto farlo? Gli oggetti non si
salutano. Mi lanciò uno sguardo
indifferente e andò via.
Spostai lo sguardo altrove, poi mi alzai lentamente
sentendo dolori atroci ovunque, sembrava quasi che mi avesse rotto le ossa. Mi
alzai a fatica e mi misi seduto sul letto cominciando a piangere
disperatamente. Fuori pioveva. La natura sembrava partecipare al mio dolore. O magari
era Dio che piangeva per me. “E perché non mi aiuta invece di compatirmi?”
pensai con rancore.
La pioggia mi faceva venire in mente il sangue, scorre
lenta su di te, scivola sulla tua pelle e può far male. Un male dannato. Il
sangue mi congiungeva al mio carnefice. Stesso sangue. Un male che mi aveva
condannato sin dalla più tenera età. Sapevo cosa dovevo fare. Ma quella sarebbe
stata davvero l’ultima volta?
Mi misi sotto la doccia. Solo in quel modo sarei riuscito
a levarmi il suo odore di dosso. Solo in quel modo avrei provato la sensazione
di tornare di nuovo puro per pochi istanti. Ma erano solo attimi. Dicono che la
felicità sia fatta proprio di questo, attimi. E bastava poco per farmi crollare
di nuovo. Scoppiavo a piangere all’improvviso senza più riuscire a fermarmi. Uscii
dal bagno totalmente nudo, ancora bagnato. Ravviai i capelli bagnati dietro la
testa, raggiunsi il suo armadio e ne tirai fuori una scatola di scarpe.
Gocciolavo tutto, ma questo non importava. Il contenuto di quella scatola era
molto più importante.
Chiusi gli occhi un istante e presi un profondo respiro,
poi la aprii. Conteneva una 9mm e un caricatore. Lui la teneva per difendersi
dai ladri. Non sapeva che avevo trovato
quella scatola pochi mesi prima e che da allora ero sempre stato tentato
dall’idea di farlo a pezzi con quell’oggetto così piccolo e così micidiale. Sotto
la 9mm vi erano alcune foto impolverate. Ritraevano mia madre. Le guardai con
gli occhi ancora gonfi per il pianto e le strinsi al petto. Ci aveva lasciati
da quattro anni, ma il suo ricordo non se n’era mai andato. Il suo cuore pieno
d’amore si era dedicato totalmente al mio bene, ma non aveva resistito e alla
fine aveva smesso di battere. Pensai che fosse andata meglio a lei che a me.
Per lei quel tragico pomeriggio l’incubo era finito, per me era appena
iniziato.
Riposi le foto sotto la pistola e richiusi la scatola.
Non era ancora il momento giusto. Non ero pronto per fare una cosa del genere.
Per secoli l’uomo aveva lottato contro se stesso, fatto stragi, carnefi-cine e
tutto senza mai rendersi conto di ciò cui andava incontro. Non si trattava solo
di rubare vite umane, ma anche di distruggere famiglie, creare orfani, arrecare
dolore a persone non direttamente coinvolte. Dalla mia parte non avevo alcun
impedimento. Avrei solo fatto un favore al mondo. E oltre lui non avrei
lasciato altre vittime innocenti lungo il mio cammino. Ma non potevo farlo, non
mi sentivo ancora privo di umanità. Quella fase invece lui l’aveva ormai superata,
era passato dalla parte dei mostri e io ero caduto nella realtà. Lo schianto
era stato forte, improvviso, ma non mi ero arreso. Ero cresciuto in fretta
nell’anima mentre nel corpo rimanevo ancora solo un ragazzino.
La pioggia cadeva pesante sull’asfalto, ogni goccia
sembrava provocare un tonfo. Me ne stavo in camera a guardarla cadere lentamente
attraverso la finestra. Pensai a quel posto. Avevo vissuto in quel quartiere da
tutta una vita. C’ero nato in quella casa, mia madre non aveva voluto partorire
in ospedale. E dalla sera in cui nacqui quella casa diventò la mia prigione. In
quel luogo nacqui, crebbi e i miei sogni andarono in frantumi.
Ne avevo tanti di sogni quando ero piccolo, ma mio padre
puntualmente mi faceva tornare alla realtà dicendo che non ero abbastanza
capace per fare lo scienziato o l’astronomo o l’astronauta. Secondo il suo
parere avrei potuto al massimo fare lo spazzino. Il mio sogno più grande erano
le stelle. Le guardavo spesso quando ero piccolo, erano così numerose e
splendenti che non potevo fare a meno di restare incantato dinnanzi ad esse. E
chissà quante cose si nascondevano tra gli astri. Mi sarebbe piaciuto tanto
poter toccare una stella, un desiderio stupido certo, ma era comunque soltanto
un sogno.
Da quando la mamma era morta papà mi aveva persino tolto dalla
scuola. “Tanto non ti servirà a niente” era stato il suo commento. Riuscì così
a troncare non solo ogni mia aspirazione, ma anche qualsiasi contatto umano al
di fuori delle mura domestiche. Finite le medie per non restare con le mani in
mano dovetti quindi cercare un lavoro. Avrei voluto ribellarmi alla sua
decisione, ma sapevo che se lo avessi fatto mi sarebbe andata peggio. Mi
avrebbe fatto del male, avrebbe potuto uccidermi e forse sarebbe stato meglio,
ma in quel periodo non mi ero ancora reso conto di quanto fosse grave la mia
condanna. E quando diventai consapevole era ormai troppo tardi per fuggire, per
iscriversi di nuovo a scuola o per qualsiasi altro progetto avessi in mente. La
mia prigione era diventata ormai una cosa mentale da cui non potevo più uscire.
Lui aveva distrutto quel briciolo di vita che ancora era rimasto in me. Ma
presto qualcosa cambiò.
© Fab Draka 2011
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