AL RITORNO DAI CAMPI - di Fab Draka
Stremato e
affamato Tommaso si accinse a tornare a casa. Preparò il carretto riponendo
disordinatamente gli attrezzi al suo interno e guardò l’orizzonte con sguardo
stanco. Il sudore gli si era accumulato sul collo e sulla fronte bruciati dal
sole. Il lavoro era stato particolarmente duro quel giorno, la terra si era
indurita per la siccità ed era diventata difficile da lavorare.
Stava
imbrunendo e pian piano il cielo terso si colorò di tonalità d’arancio e rosa.
Si avvicinò all’asino e gli fece un buffetto sul muso, poi gli accarezzò la
criniera rada e spelacchiata. L’animale parve godere di quelle piccole
attenzioni; ne aveva patite di fatiche quel poveretto, ma seguitava a fare il proprio
dovere con zelo e dedizione.
Quel
pomeriggio era rimasto quasi tutto il tempo a mangiare paglia, ma lo aveva
fatto in modo svogliato, quasi che gli costasse un grandissimo sforzo. Tommaso
si disse che era la stanchezza della vecchiaia. Quell’asino aveva quindici anni
e ormai non ce la faceva quasi più a trainare il carro. Ben presto, pensò
Tommaso, sarebbe stato costretto ad abbatterlo e sostituirlo. Sapeva già che
non sarebbe stato facile e gli sarebbe costato una gran sofferenza. Era
affezionato a lui. Nel silenzio e nella solitudine della campagna era l’unico a
tenergli compagnia.
Salì sul
carretto e si sistemò alla guida, poi diede un leggero scossone alle briglie e
partirono alla volta della città.
La sera si
avvicinava e il sole era ormai quasi del tutto calato, solo una sottile
striscia di luce bianca rigava l’orizzonte, come uno spiraglio attraverso una
porta socchiusa. L’aria fresca della sera gli accarezzò le guance e Tommaso già
pregustava la minestra calda che gli avrebbe preparato la moglie.
L’odore degli
alberi e del verde che lo circondava si spandeva ed evocava tutto un insieme di
sensazioni che lo riportavano alla sua infanzia, quando si divertiva a giocare
arrampicandosi sui rami più alti degli alberi. Sua madre Santina - un donnone
tutto d’un pezzo - lo riprendeva sempre dicendogli di scendere, che i rami non
avrebbero retto il peso, ma Tommasino - così lo chiamava lei - se ne fregava e
restava lassù a osservarla dall’alto in basso con un senso di superiorità che
pian piano era andato affievolendosi negli anni.
La strada era
sgombra, solitaria, disseminata di pietre che si stagliavano fuori dal terreno
come piccolissimi monti e che facevano sobbalzare il carretto al loro incontro.
Ai lati della strada vi erano talvolta dei bassi cumuli di pietre che formavano
dei muretti, ma molti di essi erano diroccati perché non avevano retto con la
pioggia o perché erano stati costruiti in modo approssimativo.
Fu proprio su
uno di quei muretti che la vide. Stava seduta su di esso ed era tutta vestita
di nero. Da lontano non appariva nemmeno come una figura umana, ma come una
massa indistinta, una macchia scura in contrasto con i colori ambrati delle
spighe di grano. Tommaso dovette stringere gli occhi più d’una volta per
metterla a fuoco mentre si avvicinava col carretto.
Quando
finalmente ne ebbe un’immagine chiara, capì che era una donna. Indossava un
lungo abito nero, con pizzi e merletti dello stesso colore, e una veletta sulla
testa che copriva i capelli corvini. Aveva un’apparenza molto elegante, fuori
luogo per il posto in cui si trovava. Teneva lo sguardo fisso per terra e aveva
un’espressione così addolorata che Tommaso provò compassione per lei.
Arrestò il
carretto proprio davanti al muretto su cui sedeva e dopo averle lanciato una
veloce occhiata si chiese se si fosse persa. L'asino, per canto suo, sembrava
non voler sostare in quel luogo e in un certo modo quasi si imbizzarrì innanzi
a quella figura solitaria, riacquistando per un momento il vigore che aveva
caratterizzato i suoi primi anni di lavoro al servizio dell'uomo. Tommaso cercò
di rabbonirlo con carezze per far sì che si tranquillizzasse e un poco
l'animale cedette sotto il peso di quelle moine.
L'uomo poté
così rivolgersi alla donna.
«Desidera un
passaggio, signora?»
Quest'ultima non si mosse, non gli rivolse
nemmeno la parola, rimase con lo sguardo fisso sul terreno con
quell’espressione contrita e il labbro inferiore imbronciato, quasi fosse sul
punto di piangere.
«Si sente
bene?» chiese Tommaso stranito. «Se ne ha bisogno accompagno sua signoria in paese»
propose. Fu in quel momento che la donna sollevò leggermente il viso e si
mostrò in tutta la sua pallida bellezza. Il suo sguardo era spento, glaciale
nel vero senso della parola, le iridi sembravano due pezzi di ghiaccio bianco
tanto erano chiare. Tommaso si domandò se fosse cieca, ma la donna pareva
proprio fissarlo dritto negli occhi. Quello scambio di sguardi durò qualche
secondo, Tommaso cominciò a provare uno strano disagio. La donna tornò a
puntare il terreno con i suoi occhi vuoti e Tommaso, stufo di essere ignorato,
diede uno strattone alle briglie e ripartì verso la città.
Ormai si era
fatta sera e pian piano il rosa del cielo lasciava spazio a strati di porpora
che avvolgevano la fioca lucentezza della luna ora apparsa tra le nuvole. Gli
alberi si stagliavano con le loro fronde nel cielo come sagome spettrali, gli
uccelli correvano al riparo presso i loro nidi e il silenzio era interrotto
solo dal frinire delle cicale.
Tommaso si
voltò una volta, una sola, poco dopo essersi congedato dalla donna, ma già non
la vedeva più. E non perché si fosse fatto ormai troppo buio per riuscire a
distinguere qualcosa, ma proprio perché sembrava essere scomparsa, quasi si
fosse nascosta. Non avrebbe saputo dire dove, perché attorno a quel muretto non
c’era nulla se non la distesa di spighe di grano, tanto bassa però ancora che
anche nascondendovisi ne avrebbe scorto le forme con i suoi abiti funerei.
Improbabile che si fosse nascosta dietro il basso muretto, tantomeno dietro un
albero - per raggiungere il più vicino avrebbe dovuto correre parecchio e con
non poca difficoltà tra le spighe con quella lunga veste; l’avrebbe certamente
vista nell’atto se così fosse stato.
Erano passati
solo pochi secondi, ma era svanita nel nulla.
Tornò a
guardare di fronte a sé e improvvisamente sentì una presenza al proprio fianco.
Si voltò di scatto e sussultò terrorizzato nel trovarsi accanto quella donna.
Nella paura aveva scosso le briglie e l’asino - con una potenza che prima non
gli avrebbe attribuito - aveva aumentato il passo, facendo sobbalzare il
carretto e velocizzare la corsa.
La donna
teneva lo sguardo basso, il volto nascosto dalla veletta, non diceva una
parola. Tommaso, ancora spaventato, si chiese chi diavolo fosse e come era
finita sul suo carretto.
Con voce tremante
glielo chiese, ma non ottenne risposta. Allora tirò le briglie per fermare il
carro, ma l’asino non rispose ai suoi comandi e proseguì verso la sua meta,
quasi volesse fuggire per conto proprio. Tommaso tirò più forte, ma a nulla
valsero i suoi sforzi. Tenne gli occhi fissi sulla donna e questa finalmente si
scompose dalla propria immobilità marmorea per voltarsi lentamente verso di
lui.
Tommaso sgranò
gli occhi per lo sgomento, il sudore sulla sua fronte parve cristallizzarsi e
diventare freddo come stalattiti. Il volto della donna non era più ora di una
fulgida bellezza - non del tutto almeno -, per metà quel suo bianco candore
aveva lasciato spazio a qualcosa di altrettanto bianco, ma d’aspetto macabro.
La donna era per metà scheletro e la pelle della metà del volto integro
sembrava incollata su quel teschio come una maschera.
Tommaso
trasalì e sbiancò anche lui, una morsa gli strinse il petto e gli gettò dolori
lancinanti su tutto il corpo. Una vampata di calore gli salì dal collo e finì
sulle tempie e fin sopra la punta delle orecchie. I suoi occhi persero di
lucidità e d’un tratto tutto si fece sfocato, quella visione orripilante fu
annebbiata per intero e si sentì cieco.
Poco dopo,
tenendo la mano ancora salda al petto mentre stringeva la camicia sporca e
usurata, stramazzò lì dentro il carretto e rimase così, con bocca e occhi
spalancati, e questi, vitrei, puntavano verso la luna candida e le stelle che
cominciavano ad affacciarsi nel buio per farle compagnia.
L’asino, che
poco prima si era messo a correre in una fuga disperata, arrestò la propria
corsa e il carro si fermò. Per qualche momento l'animale parve indugiare, ma
nulla ormai più lo spaventava. La sensazione di inquietudine che si era
impossessata di lui era adesso passata del tutto, riprese quindi il suo cammino
con estrema tranquillità trasportando sul carro - che ora si sarebbe potuto
definire funebre - il povero Tommaso, rimasto solo e con quello sguardo
terrorizzato, immobile come una statua di gesso. La donna in nero che aveva
costituito la sua ultima visione era scomparsa di nuovo, aveva tirato i dadi
della sorte e fatto la sua scelta portando con sé nell’oscurità l’anima del
contadino.
Fab Draka