martedì 31 marzo 2015

RACCONTO HORROR: AL RITORNO DAI CAMPI

AL RITORNO DAI CAMPI - di Fab Draka




Stremato e affamato Tommaso si accinse a tornare a casa. Preparò il carretto riponendo disordinatamente gli attrezzi al suo interno e guardò l’orizzonte con sguardo stanco. Il sudore gli si era accumulato sul collo e sulla fronte bruciati dal sole. Il lavoro era stato particolarmente duro quel giorno, la terra si era indurita per la siccità ed era diventata difficile da lavorare.
Stava imbrunendo e pian piano il cielo terso si colorò di tonalità d’arancio e rosa. Si avvicinò all’asino e gli fece un buffetto sul muso, poi gli accarezzò la criniera rada e spelacchiata. L’animale parve godere di quelle piccole attenzioni; ne aveva patite di fatiche quel poveretto, ma seguitava a fare il proprio dovere con zelo e dedizione.
Quel pomeriggio era rimasto quasi tutto il tempo a mangiare paglia, ma lo aveva fatto in modo svogliato, quasi che gli costasse un grandissimo sforzo. Tommaso si disse che era la stanchezza della vecchiaia. Quell’asino aveva quindici anni e ormai non ce la faceva quasi più a trainare il carro. Ben presto, pensò Tommaso, sarebbe stato costretto ad abbatterlo e sostituirlo. Sapeva già che non sarebbe stato facile e gli sarebbe costato una gran sofferenza. Era affezionato a lui. Nel silenzio e nella solitudine della campagna era l’unico a tenergli compagnia.
Salì sul carretto e si sistemò alla guida, poi diede un leggero scossone alle briglie e partirono alla volta della città.
La sera si avvicinava e il sole era ormai quasi del tutto calato, solo una sottile striscia di luce bianca rigava l’orizzonte, come uno spiraglio attraverso una porta socchiusa. L’aria fresca della sera gli accarezzò le guance e Tommaso già pregustava la minestra calda che gli avrebbe preparato la moglie.
L’odore degli alberi e del verde che lo circondava si spandeva ed evocava tutto un insieme di sensazioni che lo riportavano alla sua infanzia, quando si divertiva a giocare arrampicandosi sui rami più alti degli alberi. Sua madre Santina - un donnone tutto d’un pezzo - lo riprendeva sempre dicendogli di scendere, che i rami non avrebbero retto il peso, ma Tommasino - così lo chiamava lei - se ne fregava e restava lassù a osservarla dall’alto in basso con un senso di superiorità che pian piano era andato affievolendosi negli anni.
La strada era sgombra, solitaria, disseminata di pietre che si stagliavano fuori dal terreno come piccolissimi monti e che facevano sobbalzare il carretto al loro incontro. Ai lati della strada vi erano talvolta dei bassi cumuli di pietre che formavano dei muretti, ma molti di essi erano diroccati perché non avevano retto con la pioggia o perché erano stati costruiti in modo approssimativo.
Fu proprio su uno di quei muretti che la vide. Stava seduta su di esso ed era tutta vestita di nero. Da lontano non appariva nemmeno come una figura umana, ma come una massa indistinta, una macchia scura in contrasto con i colori ambrati delle spighe di grano. Tommaso dovette stringere gli occhi più d’una volta per metterla a fuoco mentre si avvicinava col carretto.
Quando finalmente ne ebbe un’immagine chiara, capì che era una donna. Indossava un lungo abito nero, con pizzi e merletti dello stesso colore, e una veletta sulla testa che copriva i capelli corvini. Aveva un’apparenza molto elegante, fuori luogo per il posto in cui si trovava. Teneva lo sguardo fisso per terra e aveva un’espressione così addolorata che Tommaso provò compassione per lei.
Arrestò il carretto proprio davanti al muretto su cui sedeva e dopo averle lanciato una veloce occhiata si chiese se si fosse persa. L'asino, per canto suo, sembrava non voler sostare in quel luogo e in un certo modo quasi si imbizzarrì innanzi a quella figura solitaria, riacquistando per un momento il vigore che aveva caratterizzato i suoi primi anni di lavoro al servizio dell'uomo. Tommaso cercò di rabbonirlo con carezze per far sì che si tranquillizzasse e un poco l'animale cedette sotto il peso di quelle moine.
L'uomo poté così rivolgersi alla donna.
«Desidera un passaggio, signora?»
 Quest'ultima non si mosse, non gli rivolse nemmeno la parola, rimase con lo sguardo fisso sul terreno con quell’espressione contrita e il labbro inferiore imbronciato, quasi fosse sul punto di piangere.
«Si sente bene?» chiese Tommaso stranito. «Se ne ha bisogno accompagno sua signoria in paese» propose. Fu in quel momento che la donna sollevò leggermente il viso e si mostrò in tutta la sua pallida bellezza. Il suo sguardo era spento, glaciale nel vero senso della parola, le iridi sembravano due pezzi di ghiaccio bianco tanto erano chiare. Tommaso si domandò se fosse cieca, ma la donna pareva proprio fissarlo dritto negli occhi. Quello scambio di sguardi durò qualche secondo, Tommaso cominciò a provare uno strano disagio. La donna tornò a puntare il terreno con i suoi occhi vuoti e Tommaso, stufo di essere ignorato, diede uno strattone alle briglie e ripartì verso la città.
Ormai si era fatta sera e pian piano il rosa del cielo lasciava spazio a strati di porpora che avvolgevano la fioca lucentezza della luna ora apparsa tra le nuvole. Gli alberi si stagliavano con le loro fronde nel cielo come sagome spettrali, gli uccelli correvano al riparo presso i loro nidi e il silenzio era interrotto solo dal frinire delle cicale.
Tommaso si voltò una volta, una sola, poco dopo essersi congedato dalla donna, ma già non la vedeva più. E non perché si fosse fatto ormai troppo buio per riuscire a distinguere qualcosa, ma proprio perché sembrava essere scomparsa, quasi si fosse nascosta. Non avrebbe saputo dire dove, perché attorno a quel muretto non c’era nulla se non la distesa di spighe di grano, tanto bassa però ancora che anche nascondendovisi ne avrebbe scorto le forme con i suoi abiti funerei. Improbabile che si fosse nascosta dietro il basso muretto, tantomeno dietro un albero - per raggiungere il più vicino avrebbe dovuto correre parecchio e con non poca difficoltà tra le spighe con quella lunga veste; l’avrebbe certamente vista nell’atto se così fosse stato.
Erano passati solo pochi secondi, ma era svanita nel nulla.
Tornò a guardare di fronte a sé e improvvisamente sentì una presenza al proprio fianco. Si voltò di scatto e sussultò terrorizzato nel trovarsi accanto quella donna. Nella paura aveva scosso le briglie e l’asino - con una potenza che prima non gli avrebbe attribuito - aveva aumentato il passo, facendo sobbalzare il carretto e velocizzare la corsa.
La donna teneva lo sguardo basso, il volto nascosto dalla veletta, non diceva una parola. Tommaso, ancora spaventato, si chiese chi diavolo fosse e come era finita sul suo carretto.
Con voce tremante glielo chiese, ma non ottenne risposta. Allora tirò le briglie per fermare il carro, ma l’asino non rispose ai suoi comandi e proseguì verso la sua meta, quasi volesse fuggire per conto proprio. Tommaso tirò più forte, ma a nulla valsero i suoi sforzi. Tenne gli occhi fissi sulla donna e questa finalmente si scompose dalla propria immobilità marmorea per voltarsi lentamente verso di lui.
Tommaso sgranò gli occhi per lo sgomento, il sudore sulla sua fronte parve cristallizzarsi e diventare freddo come stalattiti. Il volto della donna non era più ora di una fulgida bellezza - non del tutto almeno -, per metà quel suo bianco candore aveva lasciato spazio a qualcosa di altrettanto bianco, ma d’aspetto macabro. La donna era per metà scheletro e la pelle della metà del volto integro sembrava incollata su quel teschio come una maschera.
Tommaso trasalì e sbiancò anche lui, una morsa gli strinse il petto e gli gettò dolori lancinanti su tutto il corpo. Una vampata di calore gli salì dal collo e finì sulle tempie e fin sopra la punta delle orecchie. I suoi occhi persero di lucidità e d’un tratto tutto si fece sfocato, quella visione orripilante fu annebbiata per intero e si sentì cieco.
Poco dopo, tenendo la mano ancora salda al petto mentre stringeva la camicia sporca e usurata, stramazzò lì dentro il carretto e rimase così, con bocca e occhi spalancati, e questi, vitrei, puntavano verso la luna candida e le stelle che cominciavano ad affacciarsi nel buio per farle compagnia.
L’asino, che poco prima si era messo a correre in una fuga disperata, arrestò la propria corsa e il carro si fermò. Per qualche momento l'animale parve indugiare, ma nulla ormai più lo spaventava. La sensazione di inquietudine che si era impossessata di lui era adesso passata del tutto, riprese quindi il suo cammino con estrema tranquillità trasportando sul carro - che ora si sarebbe potuto definire funebre - il povero Tommaso, rimasto solo e con quello sguardo terrorizzato, immobile come una statua di gesso. La donna in nero che aveva costituito la sua ultima visione era scomparsa di nuovo, aveva tirato i dadi della sorte e fatto la sua scelta portando con sé nell’oscurità l’anima del contadino.



Fab Draka

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