venerdì 27 marzo 2015

RACCONTO HORROR: VEGLIA NOTTURNA

VEGLIA NOTTURNA - di Fab Draka





Tra le soffici lenzuola di seta Donna Elena si rivoltava da una parte all'altra, scuotendo il letto come se una forza infernale la possedesse. Da qualche tempo la madre le appariva in sogno, cercava di parlarle, le labbra livide di morte si muovevano, ma non ne usciva suono. Sembrava essere accorsa da lei in gran fretta, impaziente di confidarle un segreto. Agitava le mani lanciando urla di silenzio nella notte placida.
Elena cercava più volte di decifrarne le labbra che si muovevano in modo troppo rapido perché si potesse capirle. Così si svegliava, gli occhi spalancati nel buio, il respiro affannato, la fronte e il petto imperlati di sudore. Prendeva pian piano fiato finché non si tranquillizzava, allora cominciava a ispezionare la propria stanza, quasi fosse in cerca di un segno, una traccia della presenza della madre. Non trovava mai niente, ovviamente, ma le capitava spesso di domandarsi se quello fosse veramente un sogno. Era così vivido e sua madre così reale che le sarebbe parso di poterla toccare se solo avesse allungato il braccio.
Al mattino mentre sedeva a colazione col padre decise di rivelargli i suoi timori. La domestica Sarina aveva portato frutta fresca, fette di pane imburrate o addolcite col marsala e uova sode farcite. Di solito Elena mangiava di gusto, ma quella mattina tutto aveva un aspetto poco invitante. Le uova emanavano uno strano odore sulfureo e ciò le riportava alla mente una visione della madre che bruciava tra le fiamme dell'Inferno. Non sapeva se l'avesse immaginata in una di quelle apparizioni oniriche tanto vivide, ma la scena le rivoltava le budella e il cibo aveva adesso un sapore e un odore che la disgustavano. Anche le posate le facevano uno strano effetto e ora il coltello da burro, all'apparenza innocuo, aveva un che di minaccioso. La frutta poi, per fresca che fosse, le dava l'impressione di doversi aprire da un momento all'altro, brulicante di vermi. Le pareva quasi vederli muoversi sotto la buccia giallastra, intenti a cercare una via di fuga. E la cosa la inorridiva a tal punto da farle posare le posate sul piatto senza aver ancora toccato cibo.
«Padre» iniziò pacata, «Stanotte mi è capitato di sognare la mamma.» Il nominarla sembrò scuotere una nota dolente nell'animo del padre, che con tanta cura faceva sempre attenzione a non toccare l’argomento. «Sono già parecchie notti che la sogno in modi orribili.»
L’uomo si irrigidì e rimase con la forchetta sospesa a mezz’aria. Aveva appena infilzato un pezzo d’albume sodo e questo si stava tenendo pericolosamente in equilibrio sulla posata. Don Riccardo, che solitamente era un uomo paziente, fece cadere la forchetta sul piatto con un tintinnio. Chiuse gli occhi e sembrò voler raccogliere le forze per sopportare anche quella prova cui veniva sottoposto, sbuffò e i suoi baffi vibrarono lievemente sotto le narici. Elena capì di averlo turbato e avrebbe preferito non aggiungere altro, ma quel pesante senso di inquietudine non se ne sarebbe andato altrimenti.
«Elena, mi era parso di essere molto chiaro a riguardo.»
La ragazza abbassò lo sguardo sul piatto e annuì piano col capo, ma non si diede per vinta.
«Credo solo che volesse dirmi qualcosa di importante...» aggiunse, gravando la pena del padre.
«Era solo un sogno Elena, adesso mangia.»
«Non ho appetito» rispose la ragazza con una nota di delusione nella voce. Il padre ne rimase sorpreso. Sua figlia non si sottraeva mai a un pasto, seppure frugale, e ciò l'aveva resa formosa sui punti giusti. Il vitino succinto le faceva apparire il seno ancora più abbondante e la gonna ricadeva con tanta grazia sui fianchi che il suo fisico avvenente era diventato parecchio appetibile per i vari spasimanti che si presentavano a chiedere la sua mano. Il suo incarnato poi era di una perfezione assoluta, di un rosa candido soprattutto sulle gote, ma quella mattina il pallore livido sulla fronte e sotto gli occhi sembravano averle sottratto parte del suo fascino, tanto da farla apparire ammalata.
Nessuno avrebbe voluto sposare una donna malata se non per interessi meramente ereditari. Ma ciò non aveva grande importanza, poiché don Riccardo si era sempre rifiutato di accettare qualsiasi proposta di matrimonio rivolta alla figlia. Non tanto perché non volesse separarsi dalla sua amata prole, ma piuttosto perché non riteneva quei spasimanti all’altezza. A Elena non dispiacevano quelle premure paterne, fintanto che non apparivano ingiustificate o troppo restrittive. E il matrimonio in ogni caso non era qualcosa a cui pensava in quel periodo. C’erano cose che le premevano di più, come quei sogni terrificanti.
Don Riccardo fece un grande sforzo per porre la domanda che la figlia si aspettava di ricevere.
«Di cosa trattavano questi sogni?»
La ragazza, sorpresa, volle subito dare una descrizione precisa di tali apparizioni. Il padre ascoltò finché gli fu possibile, poi troppo turbato dal racconto della figlia alzò una mano per interromperla.
«Basta!» sbottò. «È anche più di quanto possa sopportare.»
Elena protestò. «Ma era così reale!» insistette.
Don Riccardo batté forte il pugno sul tavolo, facendo sussultare anche la povera Sarina che stava portando un vassoio e che lasciò cadere rovinosamente, facendo scivolare tutto quanto per terra. L’uomo la riprese con un’occhiataccia e la domestica non osando guardarlo in faccia, ma sapendo con certezza che la stava incenerendo con lo sguardo, si affrettò a raccogliere e pulire tutto con grande rapidità.
«Non essere sciocca» disse poi Don Riccardo rivolgendosi alla figlia. «Le storie di fantasmi sono per gli stupidi e i superstiziosi» aggiunse volgendo ora lo sguardo verso Sarina.
«Padre ho uno strano presentimento» continuò Elena quasi in un sussurro. «A volte penso che la morte della mia cara mamma non sia stato un semplice incidente.»
«Cosa vorresti insinuare?» si infuriò l’uomo.
«Niente, padre» rispose Elena facendosi piccola piccola.
Don Riccardo notò la tristezza nello sguardo della figlia e si calmò un poco, riprese il suo tono pacato e questa volta si rivolse a lei con più dolcezza.
«Cara Elena, sai bene quanto fosse malata la tua povera madre.» La ragazza annuì malinconica e spezzettò col coltello il tuorlo dell’uovo, ma non aveva intenzione di mangiarlo, era solo un modo come un altro per distruggere quel disgusto che provava dentro. «Quel malaugurato giorno non sappiamo cosa fosse preso a tua madre - che Dio l’abbia in gloria! -, nessuna delle domestiche si era accorta che si era alzata dal letto. Sappiamo solo come l’abbiamo trovata, priva di vita in fondo alle scale.» Si incupì a quel pensiero e la voce gli tremò un po’.
«Però padre… se non si fosse trattato di un incidente?»
«Pensi che tua madre avrebbe potuto…?» Scosse la testa con vigore. «No! È fuori discussione!»
«Perché? La mamma era tanto malata, forse desiderava non soffrire più.»
L’idea del suicidio provocò un tumulto nel cuore dell’uomo e un pesante silenzio li circondò. Don Riccardo rifiutava di pensare che la moglie si fosse tolta la vita. Sapeva bene che lei lo aveva sempre considerato un peccato mortale e che avrebbe temuto di finire all’Inferno anche se solo avesse pensato di compierlo.
Tuttavia in qualche modo Don Riccardo doveva essere rimasto suggestionato dalle parole della figlia, perché quella notte anche lui sognò la moglie.
La vide fluttuare sopra il proprio letto e leggera come un soffio sembrava un fazzoletto sventolato in aria. Non la vedeva in trasparenza, come si era sempre aspettato di vedere uno spettro, ma era un’immagine nitida che si stagliava sul tendaggio del suo baldacchino. Librava poco più in alto di lui e teneva le mani come artigli pronti a ferirlo, ma la donna non sembrava avere tale intenzione, quanto invece pareva volersi aggrappare a qualcosa, alla vita forse, oppure a quel sogno - quasi temesse di esserne strappata via all’improvviso.
Don Riccardo la guardò con stupore, era la prima volta che la rivedeva dacché era morta. La donna lo fissava implorante, parlava in silenzio e lui acuì l’udito per cercare di capire cosa volesse dirgli, ma non ci riuscì. La moglie cominciò a dimenarsi come un’ossessa, urlando senza voce, tirandosi i capelli con forza, lacerandosi le guance con le unghie, poi scoppiò come un fuoco e si trasformò in una torcia umana che svolazzava sopra il suo letto. Era tanto reale che avrebbe potuto incendiare tutta la stanza.
Il marito la osservò con un’espressione di terrore dipinta sul volto e urlando di paura si mise a piangere, chiedendole di lasciarlo in pace, di andare via e di non tormentarlo. L’uomo coprì il volto in lacrime con le mani tremanti e quando le lasciò scivolare pian piano fino al mento, l’immagine infuocata si era dissolta. Si domandò se fosse stato tutto reale e si punzecchiò il braccio e la faccia. Faceva male, quindi era sveglio. Si alzò dal letto e con raccapricciò notò che le lenzuola erano cosparse di ceneri.
La cosa lo sconvolse a tal punto che cominciarono a palesarsi ipotesi terribili nella sua mente. Che la moglie si fosse davvero alzata da quel letto ormai diventato la sua prigione per liberarsi dal male che l'affliggeva? E se invece volesse solo provare un ultimo brivido vitale? L'avevano trovata sul pavimento del pianterreno, alla base delle scale, contorta in una posa innaturale, come se nella caduta si fosse rotta alcune articolazioni. In quel momento gli era sembrato che tutto fosse finito, ma forse non era realmente così. E adesso una parola gli martellava in testa prepotentemente. Cercava di scacciarla via, ma sapeva che poteva essere vero. La ricacciava dentro, ma quella tornava a galla con tutti gli orrori che essa presagiva. Catalessi.
Sarebbe stato inutile ormai scoprire una verità sconcertante. Se ciò che pensava era accaduto davvero, era probabilmente troppo tardi per rimediare. Eppure sentiva che se non se ne fosse assicurato avrebbe portato per sempre con sé il tormento del dubbio. Poteva pur sempre esserci una minima possibilità di riuscita.
Il mattino seguente, dando retta al presentimento che lo assillava, fece quindi dare ordine di disseppellire e riesumare il corpo della moglie. Il cimitero appariva molto meno tetro con tutta quella luce che lo illuminava, ma dentro di Elena e Don Riccardo i cuori erano cupi e angosciati. Quella era una cosa che faceva male a entrambi, ma volevano sapere, DOVEVANO sapere.
Una nuvola passeggera si posizionò proprio di fronte al sole e una lunga ombra scura coprì tutti loro e la tomba, su cui sovrastava la grande statua in granito di un angelo. I becchini continuarono a scavare con lena finché una delle loro vanghe colpì una superficie solida nella mollezza della terra umida. Usarono le mani per spazzolare quello strato di sabbia scura che copriva la bara e la tirarono su per riportarla alla luce.
Don Riccardo non vedeva quella bara da giorni e la ricordava ancora nei minimi dettagli, l’aveva scelta con cura all'impresa di pompe funebri. Era di legno d’abete, con modanature degne d’un artigiano e una grossa croce in oro inchiodata sul coperchio. L’interno era ben imbottito e rivestito di seta purpurea.
Quei ricordi gli fecero scivolare una lacrima furtiva sulla guancia ben rasata e lui la asciugò rapido col dorso della mano.
Elena stava in silenzio, con le mani giunte sulla gonna, in preghiera. Lo sguardo abbattuto sulla cassa, gli occhi arrossati per il pianto silenzioso, le labbra che vibravano leggermente a ogni singulto, tirava di tanto in tanto su col naso ed era l’unico suono che emetteva.
I becchini riportarono sul verde dell’erba sopra la fossa quella bara pesantissima. Donna Berta - questo era il nome della madre di Elena - era stata per parecchi mesi malata, ma ciò non aveva minato il suo appetito, per cui non era smagrita molto dal peso abbondante di cui faceva vanto in vita.
Vedere quella cassa di legno acuì il senso di inquietudine della povera Elena, già abbastanza provata dalla decisione del padre di dissotterrarla. E in quel momento le sovvennero quei sogni terribili che l’avevano tormentata per parecchie notti e quelle leggende che si narravano in giro riguardo ai cimiteri. Storielle di contadini per spaventare i propri figli e farli desistere dall'addentrarsi in quei luoghi sacri.
Quelle storie parlavano di strane figure che si aggiravano fra le tombe e di lamenti atroci e spaventosi che parevano appartenere alle anime in pena. Ne aveva sentite spesso di quelle favole del terrore dalla bocca della loro domestica Sarina, per questo il padre la considerava solo una zotica superstiziosa. Però c’erano volte che Elena le aveva quasi creduto, perché le aveva raccontate con tanto animo che sembrava quasi ne fosse stata testimone. Le aveva narrato di quei lamenti, urla strazianti nel silenzio cupo e desolante del cimitero. Cominciò a pensare che doveva essere stata Sarina a influenzarla, portandola a fare quegli incubi.
I becchini presero il piede di porco e facendo leva scoperchiarono la bara. Elena gettò un urlo di orrore e aggrappata al braccio del padre si lasciò svenire, scivolando sul terriccio smosso della fossa.
Don Riccardo incredulo trattenne la figlia, ma mantenne lo sguardo fisso su quell’immagine insopportabile. Perfino i becchini ne furono inorriditi.
Dentro la bara, in una posa innaturale, stava il cadavere di Donna Berta. Le sue mani stavano protese in avanti come artigli, solo che le dita erano tutte scarnite, le unghie erano state strappate via e quelle che restavano ancora attaccate alle dita erano tutte spezzate. Sul cranio livido gli occhi scavati nelle orbite erano aperti e lattiginosi, ma mostravano ancora l’espressione di terrore che la donna aveva provato prima di spirare. Le guance erano rigate di graffi. La bocca era storta in una smorfia inquietante, rigida e contratta. La seta del coperchio era tutta lacera e sul legno sottostante erano rimaste incisioni di profondi graffi, inchiodate su di esso vi erano le unghie mancanti alle dita.
I timori di Don Riccardo si erano avverati in tutto e la cosa che lo sgomentava ancor di più erano quegli elementi che facevano intuire una morte avvenuta da poco. Come se quello che aveva aleggiato sopra il suo baldacchino non fosse stato uno spettro bensì una visione di morte che si stava realizzando in altro loco. E il momento in cui l'aveva vista bruciare era stato probabilmente quello in cui era stata rapita alla vita, destinata così a diventare polvere.




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