VEGLIA NOTTURNA - di Fab Draka
Tra le soffici
lenzuola di seta Donna Elena si rivoltava da una parte all'altra, scuotendo il
letto come se una forza infernale la possedesse. Da qualche tempo la madre le
appariva in sogno, cercava di parlarle, le labbra livide di morte si muovevano,
ma non ne usciva suono. Sembrava essere accorsa da lei in gran fretta, impaziente
di confidarle un segreto. Agitava le mani lanciando urla di silenzio nella
notte placida.
Elena cercava
più volte di decifrarne le labbra che si muovevano in modo troppo rapido perché
si potesse capirle. Così si svegliava, gli occhi spalancati nel buio, il
respiro affannato, la fronte e il petto imperlati di sudore. Prendeva pian
piano fiato finché non si tranquillizzava, allora cominciava a ispezionare la
propria stanza, quasi fosse in cerca di un segno, una traccia della presenza
della madre. Non trovava mai niente, ovviamente, ma le capitava spesso di
domandarsi se quello fosse veramente un sogno. Era così vivido e sua madre così
reale che le sarebbe parso di poterla toccare se solo avesse allungato il
braccio.
Al mattino
mentre sedeva a colazione col padre decise di rivelargli i suoi timori. La
domestica Sarina aveva portato frutta fresca, fette di pane imburrate o
addolcite col marsala e uova sode farcite. Di solito Elena mangiava di gusto,
ma quella mattina tutto aveva un aspetto poco invitante. Le uova emanavano uno
strano odore sulfureo e ciò le riportava alla mente una visione della madre che
bruciava tra le fiamme dell'Inferno. Non sapeva se l'avesse immaginata in una
di quelle apparizioni oniriche tanto vivide, ma la scena le rivoltava le
budella e il cibo aveva adesso un sapore e un odore che la disgustavano. Anche
le posate le facevano uno strano effetto e ora il coltello da burro,
all'apparenza innocuo, aveva un che di minaccioso. La frutta poi, per fresca
che fosse, le dava l'impressione di doversi aprire da un momento all'altro,
brulicante di vermi. Le pareva quasi vederli muoversi sotto la buccia
giallastra, intenti a cercare una via di fuga. E la cosa la inorridiva a tal
punto da farle posare le posate sul piatto senza aver ancora toccato cibo.
«Padre» iniziò
pacata, «Stanotte mi è capitato di sognare la mamma.» Il nominarla sembrò
scuotere una nota dolente nell'animo del padre, che con tanta cura faceva
sempre attenzione a non toccare l’argomento. «Sono già parecchie notti che la
sogno in modi orribili.»
L’uomo si
irrigidì e rimase con la forchetta sospesa a mezz’aria. Aveva appena infilzato
un pezzo d’albume sodo e questo si stava tenendo pericolosamente in equilibrio
sulla posata. Don Riccardo, che solitamente era un uomo paziente, fece cadere
la forchetta sul piatto con un tintinnio. Chiuse gli occhi e sembrò voler
raccogliere le forze per sopportare anche quella prova cui veniva sottoposto,
sbuffò e i suoi baffi vibrarono lievemente sotto le narici. Elena capì di
averlo turbato e avrebbe preferito non aggiungere altro, ma quel pesante senso
di inquietudine non se ne sarebbe andato altrimenti.
«Elena, mi era
parso di essere molto chiaro a riguardo.»
La ragazza
abbassò lo sguardo sul piatto e annuì piano col capo, ma non si diede per
vinta.
«Credo solo
che volesse dirmi qualcosa di importante...» aggiunse, gravando la pena del
padre.
«Era solo un
sogno Elena, adesso mangia.»
«Non ho
appetito» rispose la ragazza con una nota di delusione nella voce. Il padre ne
rimase sorpreso. Sua figlia non si sottraeva mai a un pasto, seppure frugale, e
ciò l'aveva resa formosa sui punti giusti. Il vitino succinto le faceva
apparire il seno ancora più abbondante e la gonna ricadeva con tanta grazia sui
fianchi che il suo fisico avvenente era diventato parecchio appetibile per i
vari spasimanti che si presentavano a chiedere la sua mano. Il suo incarnato
poi era di una perfezione assoluta, di un rosa candido soprattutto sulle gote,
ma quella mattina il pallore livido sulla fronte e sotto gli occhi sembravano
averle sottratto parte del suo fascino, tanto da farla apparire ammalata.
Nessuno
avrebbe voluto sposare una donna malata se non per interessi meramente
ereditari. Ma ciò non aveva grande importanza, poiché don Riccardo si era
sempre rifiutato di accettare qualsiasi proposta di matrimonio rivolta alla
figlia. Non tanto perché non volesse separarsi dalla sua amata prole, ma
piuttosto perché non riteneva quei spasimanti all’altezza. A Elena non
dispiacevano quelle premure paterne, fintanto che non apparivano ingiustificate
o troppo restrittive. E il matrimonio in ogni caso non era qualcosa a cui
pensava in quel periodo. C’erano cose che le premevano di più, come quei sogni
terrificanti.
Don Riccardo
fece un grande sforzo per porre la domanda che la figlia si aspettava di
ricevere.
«Di cosa
trattavano questi sogni?»
La ragazza,
sorpresa, volle subito dare una descrizione precisa di tali apparizioni. Il
padre ascoltò finché gli fu possibile, poi troppo turbato dal racconto della
figlia alzò una mano per interromperla.
«Basta!»
sbottò. «È anche più di quanto possa sopportare.»
Elena
protestò. «Ma era così reale!» insistette.
Don Riccardo
batté forte il pugno sul tavolo, facendo sussultare anche la povera Sarina che
stava portando un vassoio e che lasciò cadere rovinosamente, facendo scivolare
tutto quanto per terra. L’uomo la riprese con un’occhiataccia e la domestica
non osando guardarlo in faccia, ma sapendo con certezza che la stava
incenerendo con lo sguardo, si affrettò a raccogliere e pulire tutto con grande
rapidità.
«Non essere
sciocca» disse poi Don Riccardo rivolgendosi alla figlia. «Le storie di
fantasmi sono per gli stupidi e i superstiziosi» aggiunse volgendo ora lo
sguardo verso Sarina.
«Padre ho uno
strano presentimento» continuò Elena quasi in un sussurro. «A volte penso che
la morte della mia cara mamma non sia stato un semplice incidente.»
«Cosa vorresti
insinuare?» si infuriò l’uomo.
«Niente,
padre» rispose Elena facendosi piccola piccola.
Don Riccardo
notò la tristezza nello sguardo della figlia e si calmò un poco, riprese il suo
tono pacato e questa volta si rivolse a lei con più dolcezza.
«Cara Elena,
sai bene quanto fosse malata la tua povera madre.» La ragazza annuì malinconica
e spezzettò col coltello il tuorlo dell’uovo, ma non aveva intenzione di
mangiarlo, era solo un modo come un altro per distruggere quel disgusto che
provava dentro. «Quel malaugurato giorno non sappiamo cosa fosse preso a tua
madre - che Dio l’abbia in gloria! -, nessuna delle domestiche si era accorta
che si era alzata dal letto. Sappiamo solo come l’abbiamo trovata, priva di
vita in fondo alle scale.» Si incupì a quel pensiero e la voce gli tremò un
po’.
«Però padre…
se non si fosse trattato di un incidente?»
«Pensi che tua
madre avrebbe potuto…?» Scosse la testa con vigore. «No! È fuori discussione!»
«Perché? La
mamma era tanto malata, forse desiderava non soffrire più.»
L’idea del
suicidio provocò un tumulto nel cuore dell’uomo e un pesante silenzio li
circondò. Don Riccardo rifiutava di pensare che la moglie si fosse tolta la
vita. Sapeva bene che lei lo aveva sempre considerato un peccato mortale e che
avrebbe temuto di finire all’Inferno anche se solo avesse pensato di compierlo.
Tuttavia in
qualche modo Don Riccardo doveva essere rimasto suggestionato dalle parole
della figlia, perché quella notte anche lui sognò la moglie.
La vide
fluttuare sopra il proprio letto e leggera come un soffio sembrava un fazzoletto
sventolato in aria. Non la vedeva in trasparenza, come si era sempre aspettato
di vedere uno spettro, ma era un’immagine nitida che si stagliava sul tendaggio
del suo baldacchino. Librava poco più in alto di lui e teneva le mani come
artigli pronti a ferirlo, ma la donna non sembrava avere tale intenzione,
quanto invece pareva volersi aggrappare a qualcosa, alla vita forse, oppure a
quel sogno - quasi temesse di esserne strappata via all’improvviso.
Don Riccardo
la guardò con stupore, era la prima volta che la rivedeva dacché era morta. La
donna lo fissava implorante, parlava in silenzio e lui acuì l’udito per cercare
di capire cosa volesse dirgli, ma non ci riuscì. La moglie cominciò a dimenarsi
come un’ossessa, urlando senza voce, tirandosi i capelli con forza, lacerandosi
le guance con le unghie, poi scoppiò come un fuoco e si trasformò in una torcia
umana che svolazzava sopra il suo letto. Era tanto reale che avrebbe potuto
incendiare tutta la stanza.
Il marito la
osservò con un’espressione di terrore dipinta sul volto e urlando di paura si
mise a piangere, chiedendole di lasciarlo in pace, di andare via e di non
tormentarlo. L’uomo coprì il volto in lacrime con le mani tremanti e quando le
lasciò scivolare pian piano fino al mento, l’immagine infuocata si era
dissolta. Si domandò se fosse stato tutto reale e si punzecchiò il braccio e la
faccia. Faceva male, quindi era sveglio. Si alzò dal letto e con raccapricciò
notò che le lenzuola erano cosparse di ceneri.
La cosa lo
sconvolse a tal punto che cominciarono a palesarsi ipotesi terribili nella sua
mente. Che la moglie si fosse davvero alzata da quel letto ormai diventato la
sua prigione per liberarsi dal male che l'affliggeva? E se invece volesse solo
provare un ultimo brivido vitale? L'avevano trovata sul pavimento del
pianterreno, alla base delle scale, contorta in una posa innaturale, come se
nella caduta si fosse rotta alcune articolazioni. In quel momento gli era
sembrato che tutto fosse finito, ma forse non era realmente così. E adesso una
parola gli martellava in testa prepotentemente. Cercava di scacciarla via, ma
sapeva che poteva essere vero. La ricacciava dentro, ma quella tornava a galla
con tutti gli orrori che essa presagiva. Catalessi.
Sarebbe stato
inutile ormai scoprire una verità sconcertante. Se ciò che pensava era accaduto
davvero, era probabilmente troppo tardi per rimediare. Eppure sentiva che se
non se ne fosse assicurato avrebbe portato per sempre con sé il tormento del
dubbio. Poteva pur sempre esserci una minima possibilità di riuscita.
Il mattino
seguente, dando retta al presentimento che lo assillava, fece quindi dare
ordine di disseppellire e riesumare il corpo della moglie. Il cimitero appariva
molto meno tetro con tutta quella luce che lo illuminava, ma dentro di Elena e
Don Riccardo i cuori erano cupi e angosciati. Quella era una cosa che faceva
male a entrambi, ma volevano sapere, DOVEVANO sapere.
Una nuvola
passeggera si posizionò proprio di fronte al sole e una lunga ombra scura coprì
tutti loro e la tomba, su cui sovrastava la grande statua in granito di un
angelo. I becchini continuarono a scavare con lena finché una delle loro vanghe
colpì una superficie solida nella mollezza della terra umida. Usarono le mani
per spazzolare quello strato di sabbia scura che copriva la bara e la tirarono
su per riportarla alla luce.
Don Riccardo
non vedeva quella bara da giorni e la ricordava ancora nei minimi dettagli, l’aveva
scelta con cura all'impresa di pompe funebri. Era di legno d’abete, con
modanature degne d’un artigiano e una grossa croce in oro inchiodata sul
coperchio. L’interno era ben imbottito e rivestito di seta purpurea.
Quei ricordi
gli fecero scivolare una lacrima furtiva sulla guancia ben rasata e lui la
asciugò rapido col dorso della mano.
Elena stava in
silenzio, con le mani giunte sulla gonna, in preghiera. Lo sguardo abbattuto
sulla cassa, gli occhi arrossati per il pianto silenzioso, le labbra che
vibravano leggermente a ogni singulto, tirava di tanto in tanto su col naso ed
era l’unico suono che emetteva.
I becchini
riportarono sul verde dell’erba sopra la fossa quella bara pesantissima. Donna
Berta - questo era il nome della madre di Elena - era stata per parecchi mesi
malata, ma ciò non aveva minato il suo appetito, per cui non era smagrita molto
dal peso abbondante di cui faceva vanto in vita.
Vedere quella
cassa di legno acuì il senso di inquietudine della povera Elena, già abbastanza
provata dalla decisione del padre di dissotterrarla. E in quel momento le
sovvennero quei sogni terribili che l’avevano tormentata per parecchie notti e
quelle leggende che si narravano in giro riguardo ai cimiteri. Storielle di
contadini per spaventare i propri figli e farli desistere dall'addentrarsi in
quei luoghi sacri.
Quelle storie
parlavano di strane figure che si aggiravano fra le tombe e di lamenti atroci e
spaventosi che parevano appartenere alle anime in pena. Ne aveva sentite spesso
di quelle favole del terrore dalla bocca della loro domestica Sarina, per
questo il padre la considerava solo una zotica superstiziosa. Però c’erano
volte che Elena le aveva quasi creduto, perché le aveva raccontate con tanto
animo che sembrava quasi ne fosse stata testimone. Le aveva narrato di quei
lamenti, urla strazianti nel silenzio cupo e desolante del cimitero. Cominciò a
pensare che doveva essere stata Sarina a influenzarla, portandola a fare quegli
incubi.
I becchini
presero il piede di porco e facendo leva scoperchiarono la bara. Elena gettò un
urlo di orrore e aggrappata al braccio del padre si lasciò svenire, scivolando
sul terriccio smosso della fossa.
Don Riccardo
incredulo trattenne la figlia, ma mantenne lo sguardo fisso su quell’immagine
insopportabile. Perfino i becchini ne furono inorriditi.
Dentro la
bara, in una posa innaturale, stava il cadavere di Donna Berta. Le sue mani stavano
protese in avanti come artigli, solo che le dita erano tutte scarnite, le
unghie erano state strappate via e quelle che restavano ancora attaccate alle
dita erano tutte spezzate. Sul cranio livido gli occhi scavati nelle orbite
erano aperti e lattiginosi, ma mostravano ancora l’espressione di terrore che
la donna aveva provato prima di spirare. Le guance erano rigate di graffi. La
bocca era storta in una smorfia inquietante, rigida e contratta. La seta del
coperchio era tutta lacera e sul legno sottostante erano rimaste incisioni di
profondi graffi, inchiodate su di esso vi erano le unghie mancanti alle dita.
I timori di
Don Riccardo si erano avverati in tutto e la cosa che lo sgomentava ancor di
più erano quegli elementi che facevano intuire una morte avvenuta da poco. Come
se quello che aveva aleggiato sopra il suo baldacchino non fosse stato uno
spettro bensì una visione di morte che si stava realizzando in altro loco. E il
momento in cui l'aveva vista bruciare era stato probabilmente quello in cui era
stata rapita alla vita, destinata così a diventare polvere.
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